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04/04/2011

La pergola di Licodia Poesie

La pergola di Licodia La parra de Leucodia
A Rosario Trovato


Tra avviluppati pampini, la stella
lascia entrare la luce, lei, lontana
ma presente e viva. È una stella sola
che il fragore della vita degli uomini
– sebbene rotti i margini dell'ombra –
non giunge a intorbidire.
Ho sempre amato
questi luoghi appartati, così quieti
tra il rumore di un mondo le cui braccia
non riescono a coinvolgerci nell'ora
del convivere rilassato: splendidi
versi altrui, vini eccellenti, preziose
vivande perché vengono da mani
che con fervore le hanno preparate,
l'aria pacata, voci a mezzo tono,
frammisti insieme gli idiomi e le vite
– loro, differenti, ma necessaria-
mente unite da un rischio ricercato
da quella solitudine di ognuno
che si converte in una sacra vittima,
lei, la solitudine, freccia ardente
che sanguinare fa come parola
sempre versata e mai sufficiente
per la pienezza tanto vagheggiata –.
Ci lega l'amicizia, cioè il rispetto.
Ci raduna l'assenza di orizzonte
e lo zenit presiede e signoreggia.
Altri occhi guardiamo ed anche questi occhi,
che ci guardano, sono un'altra notte
con una stella sola e non fittizia:
l'altro sta in noi; non è angoscia la fiamma
irrequieta che la nutre, o vertigine
del tempo rovesciatosi sull'anima.
E ci sappiamo effimeri, sappiamo
che pochi riusciranno ad assaggiare
un giorno questi grappoli oggi verdi.
Però ci unisce una speranza, un verso
splendido altrui, che è comune memoria,
e il rumore del sangue si converte
in una ondata piena di alti mari
che avevano la stella come guida,
questa stella costante, trasferitasi
per qualche ora di lustrale convivio
a una fessura chiara della pergola,
nostro tetto comune che ci avvolge
come una mano densa di pietà.
A Rosario Trovato


Entre implicados pámpanos, la estrella
deja llegar su luz, ella, lejana
pero presente. Es una estrella sola
que el fragor de la vida de los hombres
– rotos los lindes de la sombra – apenas
logra enturbiar.
De siempre me han gustado
estos lugares apartados, quietos
entre el rumor de un mundo cuyos brazos
no alcanzan a implicarnos en la hora
del convivir pausado: hermosos versos
ajenos, buenos vinos, alimentos
más preciados pues vienen de unas manos
que los preparan con fervor, el aire
sosegado, la voz a media altura,
mezclados los idiomas y las vidas
– ellas, diversas pero necesaria-
mente unidas por un azar buscado
desde la soledad de cada uno
que se convierte en víctima sagrada,
ella, la soledad, la flecha ardiente
que nos hace sangrar como palabra
siempre vertida y suficiente nunca
para la plenitud apetecida –.
Nos une la amistad, digo, el respeto.
Nos recoge la ausencia de horizonte
y el cenit nos preside y señorea.
Miramos otros ojos y esos ojos,
que nos miran también, son otra noche
con una estrella sola y no fingida:
el otro está en nosotros; no es angustia
la inquieta llama que la nutre, o vértigo
del tiempo en nuestras almas derramado.
Nos sabemos efímeros, sabemos
que pocos lograrán estos racimos
hoy en agraz gustar en otro día.
Pero nos une una esperanza, un verso
hermoso ajeno que es común memoria,
y el rumor de la sangre se convierte
en la oleada plena de altos mares
que la estrella tuvieron como guía,
esta estrella constante, desplazada
tras unas horas de lustral convivio
hacia un hueco distinto de la parra,
nuestro techo común, que nos protege
como una mano densa de piedad.
Rosario Trovato