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04/04/2011

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Carmen Yáñez Cile spagnolo Carmen Yáñez, nata nel 1952 a Santiago del Cile, in seno a una famiglia operaia, nel 1975 scompare nelle mani della polizia politica di Pinochet. Incredibilmente scampata all’inferno di Villa Grimaldi (la casa segreta della polizia politica), rimane in clandestinità finché nel 1981, via Argentina e sotto la protezione dell’ONU, si rifugia in esilio in Svezia. In Svezia Carmen Yáñez inizia a pubblicare la sua poesia. Nel 1982 esce la raccolta "Cantos del camino" e, negli anni successivi, le sue poesie appariranno su riviste svedesi (Signor, Ada, Invandraren) e tedesche (Viento sur). Pubblica i trittici "Al aire" (1989) e "Remanso" (1992). Durante la sua permanenza in Svezia, partecipa alla creazione di vari laboratori letterari. Dapprima il laboratorio Losche (1986-88) e in seguito "Transpoetas" e "Madrigal", ai quali è tuttora legata. Dal 1990 la sua poesia comincia a essere pubblicata anche in Cile. Nel 1997 si trasferisce in Spagna, insieme a suo marito lo scrittore Luis Sepúlveda, e stabilisce la sua residenza nelle Asturie, in quella che lei stessa definisce una ricerca delle proprie radici.
Ha pubblicato in Italia cinque volumi, editi da Guanda: "Paesaggio di luna fredda", "Abitata dalla memoria", "Terra di mele", "Cardellini della pioggia" e "Latitudine dei sogni" e "Senza ritorno".
È stata spesso tra i protagonisti delle iniziative di Casa della poesia: "Lo spirito dei luoghi (2000 e 2001), "Il cammino delle comete" (2002), Napolipoesia (2001 e 2002), Napolipoesia nel Parco (2005), Sidaja (2001), Incontri internazionali di poesia di Sarajevo (2002, 2012), VersoSud (2007).
La poesia libera di Carmen Yanez
Carmen Yanez è una donna piccola, minuta, di una bellezza allegra, non sfiorita, ma i suoi versi di poetessa sono poderosi, impastati di pane e sangue, pur essendo spesso ispirati dal quotidiano e da una immaginazione surrealista. Carmen Yanez, cilena, carcerata e torturata quando era appena una giovane madre ventenne dagli sgherri di Pinochet nella famigerata villa Grimaldi di Santiago del Cile, ha incontrato la poesia come balsamo alle ferite del destino in Svezia, dove era riparata per sfuggire l'orrore e ritrovare l'equilibrio dello spirito.
Lunedì, a Piacenza Carmen, sposa e compagna di ideali di Luis Sepúlveda, è quasi sparita nell'abbraccio di Roberto Fernandez Retamar, raffinato poeta e saggista intellettuale cubano, alto e asciutto come Don Chisciotte che, nella sala conciliare della provincia di Piacenza, le ha consegnato il premio intitolato a Nicolas Gullien, istituito dal comune, dalla provincia e dall'associazione Italia-Cuba. Proprio il grande poeta meticcio cubano, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita, era stato il maestro di Retamar. Li aveva uniti una concezione ideale della poesia che non deve essere, secondo loro, solo un'arte fine a se stessa, ma militanza, impegno, uno strumento per il riscatto della propria identità, delle proprie radici e perfino l'occasione per ricordare, chiedersi, pretendere i diritti negati a tanti popoli. Retamar, allievo, negli anni '50 alla Sorbona di Andrè Martinet, maestro di linguistica e filologia, era stato conseguente a questi principi rinunziando, a 28 anni, all'incarico di “visiting professor” all'università di Yale negli Stati uniti, per tornare a Cuba, unirsi alla rivoluzione e partecipare con Ernesto Che Guevara alla fondazione della Casa de las Americas, l'istituto culturale più prestigioso del continente, diventato negli anni il banco di prova e il terreno di confronto per i maggiori scrittori e intellettuali latinoamericani.
La poesia retamar l'aveva continuata a coltivare in ben 14 raccolte tradotte in decine di paesi, dipari passo a orgogliosi e prestigiosi saggi come il famoso Calibano, riflessione sull'identità culturale dell'America latina, ora finalmente riproposto da Sperling&Kupfer in Italia dopo un'edizione quasi clandestina di una decina di anni fa e che proprio oggi alle 18 il grande poeta presenterà al megastore Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano e poi giovedì a Piacenza e venerdì a Napoli, e domenica a Roma.
Carmen Yanez ha fatto il cammino inverso: dall'impegno politico è approdata alla poesia alta riuscendo a inventarsi nelle due raccolte pubblicate anche in Italia (Passaggio di luna fredda e Abitata dalla memoria edizioni Guanda) una lingua in versi limpida e straordinariamente flessibile, capace di rappresentare – come ha segnalato la motivazione del premio Guillen – “tutti gli aspetti della realtà: sia il dolore cosmico legato alla condizione umana che la violenza fisica subita dai prigionieri politici, sia “la pequenas tristezas” che il contorcersi del desiderio. In questo ribellandosi al dogma simbolista ed ermetico dell'oscurità o della purezza che ha condizionato gran parte della lirica del ‘900”. No, la poesia della Yanez è bella proprio perché impura. Un'opera che ha convinto il marito Luis Sepúlveda a uscire dal suo pudore e a scrivere nel prologo a Passaggio di Luna fredda: “La poesia di Carmen ha la freschezza dei primi sguardi e la sensibilità di chi ha messo la vita sul tavolo da gioco e se l'è giocata senza esitazioni, perché questa Carmen Poeta e anche la Carmen combattente, compagna, clandestina, la donna che sparì una notte inghiottita dalla stupidità criminale delle uniformi ed è riapparsa tutta intera pura e trasparente”.
L'incontro di due poeti di questo livello e impegno, anche se di generazioni diverse, nella terra che, come ha ricordato Retamar, fu dei Quaderni Piacentini, avrebbe dovuto normalmente stimolare la curiosità di quel mondo letterario che ormai però sembra vivere di mode, di snobismi e di riti imposti dagli indirizzi, spesso banale dell'industria editoriale. Perché, a Piacenza, per l'iniziativa voluta dalla rassegna “Carovane”, arrivata alla terza edizione, c'erano anche Luis Sepuúlveda, Paco Ignacio Taibo II, Daniel Mordzinsky (capaci la sera di improvvisare rap con i Modena City Ramblers). C'era insomma un segmento rilevante di quella intellettualità latinoamericana che ha conquistato il pubblico europeo da anni, ma non ha ancora vinto la pigrizia di molti critici e il pregiudizio sulla poesia “genere che non vende”. Come se il mercato fosse l'unico strumento per giudicare un'arte.
Gianni Minà
Il Manifesto 11/09/02
in: www.giannimina.it