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04/04/2011

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Endre Szkarosi Ungheria ungherese Nato a Budapest il 1952, Endre Szkarosi, poeta, performer, studioso, insegna letteratura italiana all’Università di Budapest. Le sue sperimentazioni di poesia sonora, di musica, di arti visuali, video e performance sono ben note nella scena internazionale. Ha collaborato con vari gruppi fra i quali il suo Konnektor, la band inglese Towering Inferno e negli anni ’90 con Spiritus Noister. Ha partecipato a numerosi festival internazionali di poesia e arte. Ha pubblicato vari libri di poesia, dischi e cassette di poesia e di musica.
Fa "poesie-sculture" opere di "poesie di spazio" e di trans poesia con cui partecipa a mostre individuali e collettive. Ha vinto il premio "Kassak". Scrive in più lingue.

Ha partecipato a "Napolipoesia nel 2002".
IL BACKGROUND DI UN CODICE LINGUISTICO

Endre Szkàrosi



Una volta facevo regolarmente concerti con gruppi che erano sempre composti da artisti miei amici. Quando lavoravo con Konnector, ero solito definire concerto-teatro questo genere d’attività, poiché azione e vista vi assumevano la stessa importanza di parole e musica. In genere allestivamo scenari grandiosi - pieni di invenzioni spaziali, gestuali e visive - grandi quanto lo consentiva lo spazio che avevamo a disposizione a Budapest, a Szeged, Bologna, Nové Zàmky, Glasgow, Londra, Amsterdam, ecc. Poi, con il Towering Inferno (Londra), cui partecipai come artista ospite, furono allestiti scenari addirittura più estesi, con dozzine di proiezioni, e, in spazi eccitanti, a Londra, Edimburgo o Budapest, Vienna, Friburgo, Berlino, Melbourne, ecc, fu messo in scena un preciso meccanismo di sublime performance. In Ungheria, a partire dalla metà degli anni ’90 (con Katalin Ladik, Zsolt Kovàcs, Zsolt S?rés e altri) abbiamo lavorato sul palcoscenico come Spiritus Noister; e le nostre scenografie e performance erano meno grandiose - perché l’epoca stava cambiando, lentamente, eppure in modo irrefrenabile -, ma a volte più brutali. Forse a causa del vuoto che appariva sempre più senza speranza e sempre più ridicolo. Così, in un certo senso, era ormai matura l’idea di un minimalismo monumentale. Durante uno di questi concerti (tenuto da nove musicisti, poeti e artisti, tre dei quali formavano un coro femminile, esso era sorprendentemente disperato) quando lo spaventoso crescendo di mezz’ora fu interrotto da una rapida risoluzione - ogni volta sembrava che fosse l’ultima -, io ruppi simbolicamente un orologio: era la fine che avevamo stabilito e io, guidato da non so quale forza sconosciuta, rimasi sul palcoscenico per qualche minuto, cominciai a piangere, a saltare e a bloccarmi all’improvviso, articolando tre parole che fino a quel momento avevano cercato lo spazio giusto al di fuori della mia coscienza, e in quel momento lo avevano trovato dentro di me. E quella fu la fine, imprevista, dopo la fine.
Perché adesso, anche se continuiamo a lavorare con Spiritus Noister, sono rimaste soltanto quelle tre parole: che in un certo senso esprimono - o mostrano come un programma - l’oscura e fatale condizione nella quale mi trovavo quando guardavo, profondamente e con tranquillità, in me stesso. Quelle tre parole sono rimaste presenti come fatto o come esperienza incompiuta, anche se non penso di esperire la stessa cosa adesso. (Bene, forse provo la stessa cosa, ma non esattamente la stessa stessa cosa). Forse la crisi è cambiata, divenuta ovvia. Allora cerchiamone un’altra. Eppure.
Nelle espressioni artistiche non perdi mai sentimenti e intuizioni una volta che li hai provati. Divengono fatti della tua vita e continui a lavorare su di loro e con loro. Quel concerto e tutte le esperienze di quel periodo sono state assorbite dalla virtuale dimensione artistica di quelle tre parole. Ne feci diverse versioni visive, come se avessero formato una poesia, le inserii in vari lavori musicali, ma, nonostante questo, non si sono svuotate. Continuano a darmi da fare, e io cerco di svuotarle. Cominciai a lavorarci sopra nella cornice di una pièce musicale mega-minimalista, basata su una malinconica voce di solo, e sulla gestualità di una marcia che si stratificava gradualmente. Per quella pièce il mio amico Zsolt Kovàcs fece una composizione musicale minimalista, che costituisce la terza parte della sua struttura. Gesti vocali e fisici ossessivi possono aiutare a buttare fuori e a sublimare il dolore che non conosci fino in fondo, e che non senti fino in fondo: puoi soltanto incontrarlo, imprevisto, quando sei in uno stato di beatitudine metafisica; in scena o fuori scena, ovunque - per un solo istante, nelle mani di Dio.



19/08/2002
traduzione a cura di Chiara de Luca

in. "Bollettario.it".