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04/04/2011

Autoritratti Poesie

Autoritratti
1.

La vecchia che m’inuma io la conosco:
non so come si chiami né chi sia,
non so da dove venga e quale tosco
m’abbia versato in vena, quale via
percorra abitualmente in mezzo al bosco
coi suoi slacciati anfibi per malia
di sette leghe svelti fino al fosco
respiro mio spossato d’armonia.
So che arriva, e di giorno è qui al mio fianco:
immobile mi spalma di vendetta,
d’unguenti suoi che bruciano la pelle,
di notte si trasforma in Fica e imbelle
in lei io non mi muovo perché stretta
è la sua enormità in cui muoio e arranco.

2.

Un corpo screpolato come vento
m’appare tra la folla e in una ruga
del volto mio, spaccato fuoco spento,
s’insinua e mi ristora mentre fruga
nel folto delle carni – m’addormento
con dentro quell’intruso in corta fuga
da sgherri che non so, nemico intento
a sfarsi nel mio corpo che s’asciuga.
Ricovero di volti è il volto mio
di madri e padri assidui nel ricorso
a vecchi trucchi e astuzie del mestiere
che dicono di me l’unico dio
di babbo e mamma sua che va in soccorso
al figlio, giglio pavido tra schiere

3.

Gabbie del desiderio enormi e vuote,
fuggiti i prigionieri, sterco ai muri
a intonacare il tempo, e ancora ruote,
brani di carni appesi, e molli e duri
gli dèi invaghiti e sfatti in rabbie immote
sopra squallidi altari o dentro impuri
invendicati sogni, o foie in dote
a sposi solitari dietro scuri.
In fuga mi ricopro d’orme e margini,
mi getto nei fossati e sento febbri
crescere in me violente come bave
di cani che braccati lungo gli argini
si nutrono di tosco – è come se ebbri
ci unissimo con cagne uguali e ignave

4.

Di nuovo allontanandomi - dio solo
sa da quale città, sempre la stessa
e sconosciuta terra presa a nolo -
di nuovo di passaggio come oppressa
solitudine vaga e vasto scolo
d'umori e di rifiuti che una spessa
diga fatica a reggere se in volo
tu guardi alzarsi l'acqua come ossessa
lacrima che straripa - da chi fugge
fuggo, e se insegue insieme ce ne andiamo
in fretta e furia in cerca di distanze
tra noi immolesti a la città che strugge
ogni più vero Vero, e ogni reclamo
l'ingoia negli ingorghi delle stanze

5. (Genova, Vico dell'Amor Perfetto)

Travolta età dell'oro, d'oro-piscio,
per avvenenza troppa o per puntura
all'incessante sfera, sforzo liscio
sé stesso travolgendo e schiaccia e cura
beccandosi nell'ala che di striscio
ferisce un lampo e cuce e infiora mura
d'utopiche città pregne di piscio,
moquette dei corridoi, diletta arsura.
"Un obolo tu dammi, un soldo un rantolo
o un calcio in pancia, o dammi Amor Perfetto
con bocca sui testicoli dorata:
ma solo per te solo eccoti il bandolo
dei labirinti occlusi nel tuo letto"-
sale da vichi enormi Fica enfiata

6.

Stanca elettricità nell'aria stanca -
glebe taglienti piovono scagliate
da un violento corteo di dèi - mi manca,
mi mancano le bocche acuminate
che estraggano succhiando all'arma bianca
i succhi acuminati, le tagliate
dosi fetali, talco che mi sfianca,
pastura grave, bave di sferrate
forze accampate ai bordi d'ogni nervo,
assedio teso, calma che precede
l'accorto dilagare degli ulani -
tutto mi resta chiuso dentro al servo
sacco del corpo ruvido ch'è sede
d'una cucita rissa tra dèi e cani

7.

Dentro il cranio ce n'è un altro, rovente -
tra i due, uno scoglio madido d'attracchi
per chi percorra menti e arrivi al niente
d'un'isola murata dentro spacchi
di mare come moccio duro – spente
sfere rotanti, sibili e bivacchi
d'ombre tra muri passano tra gente
uccisa tutta da affilati tacchi.
I due crani si saldano ed il terzo
- il rantolo di roccia, il fiotto lavico -
si sfalda nell'unione e si fa verso
di guerra ai servi insorti - come sterzo
che ci conduca e ammassi verso un rapido
finale di partita - scacco terso

8. (ai nemici)

Volete ch'io non pianga, questa sera,
volete che la faccia resti asciutta
se guardo appollaiato a una ringhiera
la Vita dispiegarsi farabutta
nel viale principale come vera
littoria processione di distrutta
fede, di calpestata primavera
da virtù capitali a forza tutta?
Luce del desiderio senza fine
è dolore del tempo in cielo d'oro -
se vincono le trame, le assassine,
è perché l'amor mio non è più d'oro:
rigagnoli di sangue dalle spine
fortificano forche del dio loro