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04/04/2011

Leggenda napoletana (estratto) Poesie

Leggenda napoletana (estratto) Leyenda napolitana
Sotto questa luce di Napoli
ho disposto di me come dispongono
sparsi per la baia, fiduciosi
nel suo vuoto più che nello sforzo
i velieri dell’aria che spostano.
Questa luce, che è di ombra sopra la parete
inclinata al torcere
del suo corpo di serpente
via Pontano, trascina
l’impossibile a Riviera
di Chiaia, e lo segnala
girotondo di cassette,
con una traccia di sale e felci secche.
Per questa luce discendo ogni giorno
al vocio scosceso delle madri
e delle moto, al libero
ondeggiare dei panni sui balconi
e tollero questo inno, questa bandiera
della patria vivente che mi assale.
Sento che mi colpiscono
senza odio per le strade e persino voglio
ringraziare l’uomo che mi spinge
il suo appoggio, e l’insulto al conducente
che gareggia con me e mi reclama
vigilanza. Mi svegliano,
mi sgranchiscono le imprese
diurne della luce
spruzzata nella strada sopra fili,
sguardi, fiori, avanzi di pesce.
Meno breve del sogno
mite delle vongole inscatolate,
la vita mi allontana
in tante direzioni,
in tanti accessi vietati che non so
se finirò per incontrarmi
all’estremità in cui sono. Questa città,
sepolcro dei canti di Partenope,
dove piovvero fiamme e ceneri
soffici, grate al dio rannuvolato
sotto il mondo, è il luogo in cui sono?
Sono in questo panorama che scopro
e mi scopre? In questa luce che solo
potrebbe respingermi con la morte?
Qui morire, nascere, è una festa,
vivere è un’incognita obbligata.
Quel che comincia e finisce si celebra
con lacrime di uno stesso pensiero.
Orribile è quel che segue
legato ad una vendetta senza fine
e senza inizio. Salvatore,
ho visto la tua scuola nella tenda
e la tua fotografia ne Il Mattino,
colpevole del delitto di poter
vivere più di dieci anni e ricordarti.
Nulla a che vedere con me,
lontano da tutti
i morti ed i vivi,
da quelli che mi iniziarono
e nei quali termino.
Nulla a che vedere con niente di quello che dico,
Salvatore, fittizio il sacrificio
ti fece, come il figlio
che da solo si chiede
di tutto così presto,
così tardi allo stesso tempo.
Dalla tua morte è emersa
più interiore la luce che mi restituisce
di nuovo al mio cammino.
Vado nella luce fino a te, trasparentandomi
nella tua scoperta. Di questa sola
luce so che è stata in ogni parte
e in nessuna, che anche io
sono il sole nel ventre dei marmi
rossi che mi rivelo,
che mi coloro di chiarore
al solo pronunciare il suo nome. Luce,
luce, invoco il tuo nome,
il tuo chiaro brivido.
(...)
Bajo esta luz de Naápoles
he dispuesto de mí como disposen,
sueltos por la bahía, confiados
en su vacío más que en el esfuerzo,
los veleros del aire que desplazan.
Esta luz, que es de somba en la pared
inclinada al torcer
su cuerpo de serpiente
Via Pontano, arrastra
Lo inviable a Rivera
de Chiaia, y lo señala,
vuelco de cajas,
con un rastro de sal y helechos secos.
Por esta luz desciendo cada día
al griterío abrupto de las madres
y las motos, al libre
ondear de la ropa en los balcones
y consiento este himno, esta bandera
de patria viviente que me asalta.
Siento que me golpean
sin odio por las calles y hasta quiero
agradecer al hombre que me empuja
su apoyo, y el insulto al conductor
que compite conmigo y me reclama
vigilia. Me despiertan,
me van desperezando las hazañas
diurna de la luz
rociada en la calle sobre alambres,
mirada, flores, restos de pescado.
Menos breve quel el sueño
Manso de las almejas ambolsadas,
la vida me despide
en tantas direcciones,
en tanta opción cerrada que no sé
si acabaré encontrándome
al cabo donde estoy. Esta ciudad,
sepulcro de los cantos de Parténope,
donde llovieron llamas y cenizas
blandas, gratas al dios ennubecido
por debajo del mundo, ¿es donde estoy?
¿Estoy en esta vista que descubro
y me descubre? En esta luz que sólo
podría rechazarme con la muerte?
Aquí morir, nacer, es una fiesta,
vivir es una incógnita obligada.
Lo que empieza y acaba se celebra
con lágrimas de un mismo pensamiento.
Horrible es lo que sigue
atado a una verganza sin final
y sin principio. Salvatore,
vi tu esquela en la tienda
y tu fotografía en Il Mattino,
culpable del delitto de poder
vivir más de diez años y acordarte.
nada que ver conmigo,
a distancia de todos
los muertos y los vivos,
de los que me iniciaron
y en los que me termino.
Nada que ver con nadie lo que digo.
Salvatore, ficticio el sacrificio
te hizo, como al hijo
que a solas se pregunta
por todo tan de pronto,
tan tarde por lo mismo.
De tu muerte ha salido
más interior la luz que me devuelve
de nuevo a mi camino.
Voy por la luz a ti, transparentándome
en tu descrubrimiento. De esta sola
luz sé que estuve en todas partes
y en ninguna, que también yo
soy el sol en el vientre de los mármoles
rojos desocultándome,
coloreándome de claridad
con sólo pronunciar su nombre. Luz,
luz, invoco tu nombre,
tu claro escalofrío.
(...)
Giancarlo Cavallo