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04/04/2011

gatto-alfonso Altro

Alfonso Gatto
Che cosa è stata la Resistenza? “Resistere” significa contrastare una forza che agisce contro di noi, che minaccia di superarci e che ci invita a cedere. “Resistere” significa durare al limite della nostra tenacia e della nostra pazianza fisica. È una prova che scegliamo nell’atto di essere, un convincimento interiore per una ragione ultima. Resistono i poeti alla perenne approssimazione della verità che va colta nel segno. Vederla, sentirla in sé, parteciparne, non significa ancora averla raggiunta. Essa in noi deve farsi parola e atto della parola (...)
La Resistenza cioè non è un momento eccezionale dell’essere: essa è all’opposto un tempo che dura, il farsi, nel tempo e nella storia, di una coscienza comune.
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Bisogna resistere all’“empiria”: e l’unico modo per resistervi è lavorare perennemente per una rivoluzione che abbia nell’uomo ilo suo centro, nella conoscenza e nella riconoscenza che la storia, ragione e dottrina, è stata portata avanti dalle vittime: da millenni di vittime.
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Ci sono momenti della storia, nei quali l’ordine morale degli uomini è così sovvertito che la vita sembra ritrarsi da noi per abitare altri spazi, altri luoghi. L’uomo che vince la gravità e cammina nello spazio forse la va cercando con una nuova pazienza umile. Contro i bruti empirici torna Ulisse, la sua virtù, la sua conoscenza, l’irresistibile seme dell’andare avanti.
Mi richiamo, col vostrro aiuto, a qualcosa che ancora ci sfugge e che è in noi – riconosciamola – la coscienza di non aver pace. Ma solo chi non ha pace può darla. La speranza ha lunghe tenaci radici nella “resistrenza” dell’uomo.
(...)
Al poeta, tutti i provocatori chiedono prova della sua “resistenza”. Al confine della realtà, nell’atto d’essere inutile, gli si chiede di dare un senso alle vittime, di salvare nell’esperienza del dolore il loro rifugio
Ove non celebri il vincitore, il poeta servirà tuttavia a portare il sole sulle sciagure umane, sui vinti? Questo deve finire: e per l’autore, è un proposito che non lascia soltanto nelle parole.
Nella casa della sua poesia, egli ha da ospitare l’accusa, la memoria e il numero dlle vittime, quante la storia ne tramanda da millenni di termitai, di deserti, di stermini, di guerre. Dobbiamo resistere alla vergogna di avere così facilmente ragione di noi, in nome del torto che ci lascia vivere.
Misurare nell’arte lo sgomento dlle vittime, il loro silenzio, il giubilo esoso che, oltre la morte, nelle affollate visioni del perdono estetico, le accomuna al gaudio dei vincitori: questo è, forse, il primo tentativo di averle tra noi, di vederle, di riconoscerle, di ascoltarle, e in una voce che, più della nostra, serva a rifiutare la ricettività ipocrita e dolente della cultura.

Roma, dicembre 1965
Alfonso Gatto nacque a Salerno da Giuseppe e da Erminia Albirosa il 17 luglio 1909. La sua era una famiglia di marinai e di piccoli armatori che provenivano dalla Calabria. La sua infanzia e la sua adolescenza furono piuttosto travagliate. A Salerno egli compì i primi studi. Nel 1926 si iscrisse all'Università di Napoli che dovette tuttavia abbandonare qualche anno dopo a causa di difficoltà economiche. Da quel momento la sua vita fu piuttosto irrequieta e avventurosa trascorsa in continui...
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