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04/04/2011

La lotta per diventare comune

La lotta per diventare comune
Tu sei un genio, mi disse mio padre
quando mi aspettavo che mi dicesse: bambina.
Guardai intorno: natura selvaggia,
Gente non formata ed un ambiente
Del tutto grezzo.


E non avevo piú di tre anni
Quando mi sentii estraniata
E da allora continuo a soffrire
la singolaritá della mia osservazione.


Ve lo giuro: non c’é acqua, non v’é cielo
Non c’é mare piú limpido
Che lo sguardo di una trienne
E neanche disprezzo piú perfetto
Che quello di un pargoletto.


Io trafiggevo con gli occhi gli adulti
Li leggevo gli intestini, il peso, le polpe
E gli odori glieli sentivo senza annusarli
Ed avevo una nausea grandiosa
Senza aver bisogno di un sistema di conoscenze.
Ero una cellula strana
con qualitá selettive straordinarie.


Ora, poiché da allora fino adesso
ne é passato sabbia e vento,
Niente attrae
la mia attenzione,
essa si muove voltando la testa
come un animale
che interruppe inavvertitamente
il traffico.


Mi sembra che tutti gli spazi
Sono inclusi
Nel mio petto
E che il centro é una cosa sfumata
lí, nel cervello
e che i maschi sono come le X analoghe,
giacché hanno un’identitá,
E loro nello sfumare del mio cervello
ancora non fanno figura
e tutto il cammino umano
avviene nella massa del mio fisico
ma mi sento non calpestata
e stanca
perché un mio movimento
li avrebbe buttato via come le briciole
dal grembo, tutti gli avvenimenti mondiali
e come sia di poca importanza in genere
ed in particolare...
e pensare che tutto questo vuoto
si regge in un Io.


Non so che fine ha fatto lo scopo
E se ne é mai esistito...