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04/04/2011

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Adonis Libano arabo Poeta siriano-libanese, critico letterario, traduttore e redattore, una figura di grande influenza nella poesia e letteratura araba contemporanea. Nel suo lavoro Adonis fonde una profonda conoscenza della poesia classica araba ed espressione rivoluzionaria, moderna. Come gran parte di scrittori mediorentali, Adonis ha esplorato il dolore dell'esilio - "Scrivo in una lingua che mi esilia," ha detto.

"Essere un poeta significa che ho già scritto ma che in realtà non ho scritto nulla. La poesia è un atto senza principio né fine. In realtà si tratta di una promessa di un inizio, un eterno inizio. (da Preface 1992)

Adonis nato 'Ali Ahmad Sa'id ad Al Qassabin, presso la città di Latakia, in Siria. Suo padre era un contadino ed imam; morì nel 1952. Il maestro del villaggio gli insegnò a leggere e scrivere ma non frequentò la scuola, o vide un'automobile o sentito una radio fino all'età di dodici anni. Da suo padre, una figura che influenzò molto la sua vita, ricevette un'educazione tradizionale islamica. Nel 1944 Adonis entrò al French Lycée a Tartus, e si diplomò nel 1950. In quello stesso anno pubblicò la sua prima raccolta di versi, Dalila. Adonis studiò legge e filosofia all'Università Siriana di Damasco, e prestò servizio nell'esercito per due anni. Perseguitato per le sue idee politiche, Adonis trascorse parte del servizio militare in prigione. Dopo aver lasciato il suo paese natio nel 1956, Adonis si stabilì insieme alla moglie, il critico letterario Khalida Sa'id, in Libano, diventando cittadino libanese.
Insieme all'amico, Yusuf Al-Khal (1917-1987), fondò la rivista di poesia Shi'ir, che introdusse ideee moderniste nella poesia araba. Il primo numero fu vietato in numerosi paesi arabi. Quando cominciò a diffondersi la voce che Shi'r era infiltrata da elementi nazionalisti siriani, la rivista fu temporaneamente sospesa. Il gruppo intorno alla rivista si sciolse. Adonis ruppe il suo legame con Al-Khal, che avviò la rivista con un'altra redazione.

Aghani Mihyar al-Dimashqi (1961) è stata la prima opera importante di Adonis, in cui i riferimenti al passato diventano veicolo per concetti rivoluzionari. Nel 1964 Adonis curò una importante antologia della poesia araba, Diwan ash-shiar al-arabi. Con un'avanguardia di scrittori arabi nel 1968 diede vita a Mawakif, un periodico che come Shi'ir sosteneva il rinnovamento delle convenzioni letterarie arabe, ma in modo più radicale.

Adonis adottò il suo pseudonimo agli inizi della sua carriera, definendo nel nome l'idea di rinnovamento spirituale. Adonis, nella mitologia greca, è un bel giovane, amante di Afrodite; la sua storia include anche il tema della risurrezione.
La prima raccolta di versi in inglese, The Blood of Adonis, fu pubblicata nel 1971. L'edizione fu rispampata con tre nuove poesie con il titolo "Transformations of the Lover" (1982). Intellettuale musulmano e scrittore di fama mondiale, Adonis ha costruito ponti fra le influenze occidentali e tradizione araba, greca e biblica. "L'occidente è un altro nome dell'oriente" ha scritto una volta.
Il materialismo occidentale, che egli rifiuta, è l'argomento di 'A Grave for New York'. La poesia scritta dopo un suo soggiorno nella città. Adonis si rivolge a Walt Whitman, che diventa sua guida come Virgilio fu guida di Dante attraverso l'Inferno.
Molti anni dopo, nel 1998 Adonis confessò di sentirsi "più vicino a Nietzsche e Heidegger, a Rimbaud e Baudelaire, a Goethe e Rilke, che a molti scrittori, poeti ed intellettuali arabi."
Nel 1970 Adonis fu nominato professore di letteratura araba all'Università Libanese. Tre anni dopo Adonis ottenne un dottorato dalla St Joseph University di Beirut. L'argomento della sua tesi fu "Permanenza e Cambiamento nel pensiero e letteratira arabi." Nel 1975 in Libano scoppiò la guerra civile e negli anni '80 ci fu una escalation - l'esercito israeliano entrò a Beirut e i siriani si trovarono in trincea. In questo periodo Adonis trascorse la maggior parte del tempo a Beirut. Nel 1980-81 fu docente in visita all'università Censier Paris III. Adonis ha insegnato anche al Collège de France, alla Georgetown University, e all'Università di Genova. Dopo aver lasciato lUniversità Libanese, nel 1986 Adonis si trasferì a Parigi. Nel 2001, Adonis fu insignito del Goethe Medal del Goethe-Gesellschaft. Il suo nome è stato spesso citato fra i candidati al Premio Nobel.

Benché Adonis abbia esaminato criticamente i problemi del Medio Oriente, come poeta è stato più interessato alla sperimentazione, linguaggio e a liberare la poesia dal formalismo tradizionale, che a commentare temi socio politici contemporanei. Secondo Adonis, il poeta arabo ha due facciate, l'Io e l'Altro, la persona Occidentale. L'esilio non è solo la definizione basilare dell'essere del poeta arabo; la lingua stessa è nata in esilio. Il poeta vive tra due esilii, quello interno e quello esterno. E ci sono "anche molte altre forme di esilio: censura, interdizione, espulsione, prigione ed assassinio." Le idee di Adonis sulla stagnazione della cultura e letteratura arabe hanno suscitato molte controversie. Adonis ha risposto: "nulla mi rischiara come questa oscurità / O forse era: nulla mi oscura come questa chiarezza".
Dopo il bombardamento di Kana durante la guerra del LIbano del 2006, Adonis ha detto in una intervista che "Israele vede il mondo arabo solo con gli occhi del metallo incandescente, rabbioso, il metallo dei carri armati, dei proiettili o dei terroristi."

"Vengo da una terra in cui la poesia è come un albero che veglia sull’uomo e in cui il poeta è uno che comprende il ritmo del mondo".
Opere tradotte in francese

1. Poésie
Le livre de la migration, Luneau Ascot, 1982
Chants de Mihyar le Damascène, Sindbad, 1983, Poésie/Gallimard, 2002
Ismaïl, De Nulle Part, 1984
Tombeau pour New York ; prologue à l’histoire des Tâ’ifa ; Ceci est mon nom, Sindbad, 1986
Désert : journal du siège de Beyrouth, Les Cahiers de Royaumont, 1988
Le théâtre et les miroirs (extraits), le Verbe et l’Empreinte, 1988
Cheminement du désir dans la géographie de la matière, PAP, 1989
Le temps des villes, Mercure de France, 1990
Célébrations, La Différence, 1991
Chroniques des branches, Orphée/La différence, 1991
Mémoire du vent, Poésie/Gallimard, 1991
Soleils seconds, Mercure de France, 1994
Singuliers, Sindbad/Actes Sud, 1995
La main de la pierre dessine le lieu, PAP, 1994
La Madâ’a, PAP, 1994
Le poème de Babel, Voix d’encre, 2000,
Commencement du corps fin de l’océan, traduction de Vénus Khoury-Ghata, Mercure de France, 2004.
2. Essais
Introduction à la poétique arabe, quatre leçons données au Collège de France en mai 1984, Sindbad, 1985
La Prière et l’épée : essais sur la culture arabe, Mercure de France, 1993
3. Traductions
Abû l-‘Alâ al-Ma’arrî, Rets d’éternité (extraits des Luzûmiyyât), en collaboration avec Anne Wade Minkowski, Fayard, collection l’Espace intérieur, 1988
Khalil Gibran, Le livre des processions, en collaboration avec Anne Wade Minkowski, Arfuyen, 1998

Selected works:

Dalila, 1950
Qalat alard, 1952
Qasaid ula, 1957
Idha qulta ya Suriyya, 1958
Awraq fi al-rih, 1958
Aghani Mihyar al-Dimashqi, 1961
ed.: Diwan al-shi'r al-'arabi, 1964-68
Waqt bayn al-ramad wa al-ward, 1970
Qabr min ajl New York, 1971
Muqaddimah li-al-sh'r al-'Arabi, 1971
The Blood of Adonis, 1971 (trans. by S. Hazo)
Zaman al Shi'r, 1972
Al-Thabit wa 'l-mutahawwil, 1974
Mufrad fi sighat al-jam, 1975
Mirrors, 1976
Fatihah li-nihayat al-qarn, 1980
Kitab al-qasa'id al-khams, 1980
Transformations of the Lover, 1983
Victims of a Map, 1984 (trans. by A. al-Udhari)
Shahwah tataqaddam di khara'it al-maddah, 1987
Ihtifa' bi-al-ashya' al-wadihah al-ghamidah, 1988
Kalam al-bayidat, 1989
Siyasat al-shir, 1992
Al-Nizam wa-al-kalam, 1993
Ha anta, ayyuha alwaqt, 1993
Abjadiyyah thaniyyah, 1994
If Only the Sea Could Sleep (trans. by Susan Einbinder); The Pages of Day and Night, 1994 (trans. by Samuel Hazo)
Amitié, temps et lumière, 2002 (with Dimitri T. Analis)
A Time Between Ashes And Roses, 2005 (trans. by Shawkat M. Toorawa)

Bibliografia sintetica in Italia

Introduzione alla poetica araba , Marietti, 1992
Desiderio che avanza nelle mappe della materia. Testo arabo a fronte ; San Marco dei Giustiniani, 1997
Memoria del vento, Guanda, 1998
Nella pietra e nel vento, Mesogea, 1999
SIGGIL, Interlinea, 2000
La preghiera e la spada, Guanda, 2002
Cento poesie d'amore, Guanda, 2003
Libro delle metamorfosi e della migrazione nelle regioni del giorno e della notte, Mondadori, 2004 Oro, incenso e Siria , Mondadori, 2005
La musica della balena azzurra. La cultura araba, l'Islam, l'Occidente , Guanda, 2005
Memoria del vento , Guanda, 2005
In onore del chiaro e dello scuro, Archivi del '900, 2005
ADONIS
Intervista di Flaviano Masella

Adonis: "Da noi c'è il silenzio, ma non è facile parlare, costa molto caro. In alcune società, parlando si rischia perfino la vita. Ma bisogna parlare e bisogna pagare. Anche in Occidente il silenzio ha nascosto molte violenze e le ha anche finanziate. Gli Stati Uniti hanno appoggiato l'aspetto violento nelle nostre società arabe, ora iniziano a criticare, o a negare, e fare la guerra contro queste violenze. Va bene, però non bisogna dimenticare che c'è stato del silenzio, non solo nella società araba ma c'è stato del silenzio anche in Occidente."

Invece di accettare la violenza la rifiutiamo e arriviamo anche ad accettare la violenza che viene esercitata nei confronti di chi non la pensa come noi. Riferendosi appunto al mondo arabo.
Non si può negare che ci sia della violenza nella società araba, ma la violenza fa parte della vita moderna nella sua interezza sia in Oriente che in Occidente, però bisogna sempre mettere l'accento sull'aspetto della violenza nel nostro paese perchè si tratta della mia società , della mia cultura e io ne sono responsabile in un modo o nell'altro. Io sono radicalmente contrario alla violenza in tutte le sue forme ed è necessario affermare che non esiste solo una violenza materiale degli eserciti, c'è anche una violenza del pensiero o della vita quotidiana, ma è necessario schierarsi contro la violenza in tutte le sue forme. Questo è ciò che vivo e ciò che descrivo sempre.

Rimane il problema della violenza che si scatena proprio con il pretesto di proteggere la religione.
Direi che il corpo è malvisto in tutte le religioni e soprattutto in quelle monoteiste. Se si fa un paragone storico tra l'Islam, l'ebraismo e il cristianesimo si può notare che nell'islam il corpo è stato più libero, relativamente, rispetto alle altre due religioni. Ma c'è una sorta di libertà del corpo che lo rende banale. Non bisogna permettere che il corpo si banalizzi, è necessario che il corpo sia libero nel senso che è l'essere umano a disporre del proprio corpo. Secondo me, se esiste qualcosa chiamata spirito, allora questo spirito è il corpo. Credo che fino ad ora il corpo non siaaffatto libero nel monoteismo e il problema è sempre lì. Bisogna combattere perché il corpo sia completamente libero o almeno per superare questa contraddizione nella religione monoteista. Se il corpo della donna è veramente sporco e impuro, come può generare un profeta? Il monoteismo quindi è ricco di contraddizioni che bisogna superare per la religione stessa.

Lei scrive che una delle una delle piu' gravi manifestazioni di violenza che pervade la vita delle popolazioni arabe e' che quasi mai viene fatta una distinzione tra la persona e le sue idee. Come combattere quindi il terrorismo?
Il terrorismo non è solo una bomba o un fucile, ma è una mentalità. Bisogna combattere questa mentalità e credo che sia possibile; se c'è libertà e democrazia si può combattere questa mentalità terroristica attraverso la cultura.
Richiederà del tempo, ma si può iniziare a combattere. Se si facessero degli studi sul fenomeno del terrorismo nel mondo arabo si scoprirebbe che si tratta di minoranze, di piccoli gruppo ben finanziati che non rappresentano assolutamente la società in generale.

Lei e' siriano, e' vissuto a Beirut, una delle citta' arabe piu' occidentali. La Siria si sta ritirando dal Libano dopo tanti anni, sta seguendo questi eventi? Cosa pensa di quanto sta accadendo in Medio Oriente?
In termini assoluti, non è possibile difendere nessun regime arabo. Assolutamente. Ma sono sempre stato contrario alla presenza della Siria in Libano e ho sempre chiesto, insieme a molti amici, che la Siria lasciasse il Libano. Ma secondo me il problema del Libano non è la presenza della Siria in Libano, anche se probabilmente i siriani hanno utilizzato i problemi del Libano a loro vantaggio, ma il problema libanese è nel Libano e una volta che i siriani saranno partiti, si manifesteranno anche i problemi e sarà necessario combattere per superarli o per uscire da questi problemi.

Secondo lei l'Unione Europea puo' essere di aiuto? Il mondo arabo come vede questa istituzione: l'Unione Europea?
Non credo che ci saranno risvolti essenziali. Probabilmente l'Unione Europea aiuterà il Libano finanziariamente, sul piano economico, ma sul piano culturale, umano o sul piano arabo non vedo come l'Unione Europea possa aiutare il mondo arabo. L'Unione Europea in se stessa è una buona idea e io dico sì a questa unione, ma bisogna aspettare, non si può valutare ora o dare dei giudizi. Non voglio esprimere a questo proposito un'idea affrettata perchè bisogna aspettare.

Che idea ha della morte. Dopo la vita per lei cosa c'e'?
Sono un uomo non credente, non credo nella religione, ma penso che la morte sia parte integrante della vita. Provi ad immaginare: se l'uomo non morisse, il mondo sarebbe assurdo. Ma in questo senso la morte è banale perchè è un fenomeno naturale e tutti muoiono. Per me il problema non è nella morte, ma è la vita. Il problema è la vita e non la morte.


da: RaiNews 24, 2005
La traduzione è di Maria Letizia Tesorini

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Adonis - Creatività e poesia. Un ponte fra due culture



"Ci sono cose che sono indefinibili, come l'amore e la poesia" - questa l'opinione del siriano Adonis, al secolo Ali Ahmad Sa'id Isbir, per la critica il massimo poeta arabofono vivente. Poeta, saggista, intellettuale completo, che ha scelto Parigi come dimora d'adozione ma frequenta egualmente a suo agio New York. Un uomo necessariamente interessato a tutto ciò che corre tra Oriente e Occidente tra la civiltà araba e islamica e il resto del mondo. È ospite del festival anche per parlare della sua ultima opera, il saggio Oceano Nero, edito da Guanda, che analizza il drammatico rapporto la civiltà dei traffici e delle macchine e l'islam diviso tra tentativi di redenzione o rinascita laica e istanze radicali e fondamentaliste.

È concepibile un ponte tra questre culture? O siamo già al temuto (o desiderato?) "scontro di civiltà"? E quale è il ruolo della creatività e delle menti creative, libere, in queste vicende così angosciose?

Adonis si pone come l'uomo del dubbio. "Io sono nato anti-ideologo e areligioso, perché temo molto tutti coloro che hanno la risposta a ogni domanda. E questo genere di uomini si divide equamente tra i religiosi e gli ideologi. Io credo che l'esistenza ci pnga di fronte a domande a cui non è possibile dare una risposta precisa, univoca e definitiva. Non si può dare risposta a tutto."

Questo non vuol dire che riguardo alle relazioni pericolose tra Oriente e Occidente Adonis non abbia una propria idea: "Credo che buona parte del problema, almeno per gli arabi e i musulmani, sia riconducibile a quella minaccia che io ho combattuto per tutta la vita: lo 'shock della civilizzazione'. Vale a dire il dominio della macchina sull'uomo, o il dominio della moltitudine e del meccanismo sul singolo."

Quali uomini sono immuni da questo shock? "Solo i creativi, i grandi creativi: artisti, poeti, scrittori, filosofi.... Dante Alighieri era immune da questo shock, per questo ha parlato una lingua universale." Ed è esattamente l'universalità dell'arte la strada possibile per la composizione dei conflitti, la pacificazione, la scoperta della comune umanità che unisce, rispetto ai contrasti che dividono altri uomini: "C'è shock fra capitale e capitale, tra mercato e mercato, tra militare e militare." Quanto è dunque travolgente un Occidente che utilizza il mercato e le armi come reciproco sostegno, che combatte per i mercati e commercia per combattere, e quanto è grande lo shock fra i jihadisti, tesi alla vittoria di un Islam ipotetico e sognato, inteso come redentore assoluto dei mali dell'uomo arabo. Due monoteismi, "entrambi in quanto tali la causa della guerra e dell'odio, perché assoluti nelle loro pretese di verità e dominio", quello fondamentalista di Bush e quello salafita di Osama Bin Laden, sono invece il pericolo più grande. "Io sono convinto che Bush rappresenti per l'occidente quello che Osama Bin Laden sia per l'Oriente" (una piccola parte del pubblico protesta), afferma Adonis e rincara: "Il monoteismo è la fonte dei nostri problemi e delle guerre che hanno sempre insanguinato il Mediterraneo; questo posso dirlo certamente come conoscitore dell'Islam. Ma lascio a voi la critica del giudaismo e del cristianesimo, gli altri due grandi monoteismi". Eppure, non senza amarezza, Adonis non risparmia le parole: "Io ritengo che Gerusalemme, città tre volte santa per i monoteismi, sia proprio per questa ragione la città più oscurantista del mondo."

La divisione indotta dai mercati e dalla lotta armata è difficile da superare, ma solo la creatività, intesa come anelito all'infinito può redimere l'uomo. "Qualunque logica creatrice è verticale, supera il concetto di tempo e spazio ed è unica nella sua eternità." E la poesia è innanzi tutto trasformazione e linfa vitale contro tutto ciò che complotta contro la vita stessa: le patrie, le istituzioni, il terrorismo, le convenzioni sociali e le circostanze storiche. La poesia è vita, amore, creazione. A tutto questo si oppone la forza livellatrice e barbarica della civiltà delle macchine, dei consumi, dell'automazione: "In arabo - prosegue Adonis - esiste una coincidenza linguistica straordinaria tra le parole 'Dio' e 'Macchina', quasi omofone. Noi siamo prigionieri di due macchine: la macchina ideologica divina, spirituale, e la macchina ideologica tecnica, materiale."

Sarebbero questi due Moloch secondo Adonis i grandi nemici della vita, e possono esere sconfitti solo con la poesia, la creatività, l'amore, la sola via regia per mettere in questione la visione monoteista del mondo, perché ci aprono la porta per conoscere meglio noi stessi.

Intervista

Nella sua ultima opera, Oceano Nero, Lei ha scritto da saggista, ma in quanto poeta sa benissimo che le singole parole sono tutto, sono determinanti. Vorrei partire quindi da due parole che compaiono con un'enorme frequenza nell'opera: "terrorismo" e "fascismo". Perché l'abuso le ha inevitabilmente logorate, rese ambigue e forse bisognose di accurata definizione. Qualunque governo, dalla democrazia più liberale al regime più autocratico, definisce infatti "terrorista" ogni gruppo che si oppone allo Stato, e in ciò vi è senza dubbio un intento strumentale. Come strumentale è divenuta l'accusa di "fascismo" o "nazismo" utilizzata ormai più per tappare facilmente la bocca all'interlocutore nel dibattito pubblico che per valutare o descrivere il reale. Sul piano politico vale anche la considerazione che il fascismo è un'esperienza storica ormai conclusa e storicamente definita: ha quindi senso utilizzare una categoria storica per descrivere la realtà presente?

Lei ha perfettamente ragione. È vero: questi due termini sono stati banalizzati dall'abuso. Sembra un paradosso, eppure tutto quello che è banale è terribilmente difficile da definire e spiegare. Pertanto io mi "nascondo" dietro questo stratagemma, per difendermi a mia volta dal rischio della banalità: fornisco solo la mia personale definizione del termine.
Nel caso della parola "terrorismo", per me è terrorista chiunque violi la vita quotidiana con la violenza, a qualunque titolo o per qualunque motivo. Parlo di "violazione" e di "violenza" - non a caso due parole semanticamente affini - e di violenza contro la vita quotidiana, un atto che può essere indifferentemente esercitato sia dal singolo che da un gruppo e - cosa assai più importante secondo me - che non è solo e necessariamente un atto politico, ma anche culturale, artistico, sociologico.
Il terrore è una violazione perpetrata ovunque, a qualunque livello e in qualunque ambito. La natura del terrorismo non cambia, ma varia da luogo a luogo, da situazione a situazione, da società a società, solo in virtù del grado o dell'intensità con cui si manifesta.
Il problema è che oggi si enfatizza solo l'aspetto politico del terrorismo, ma io spero che lo si affronti in futuro sotto ogni aspetto, anche e soprattutto perché il terrorismo trascende questo ambito e nasce da un nucleo assai più profondo e terribile: ogni terrorismo nasconde sempre qualcosa di peggio della semplice violenza politica.Quanto alla definizione di "fascismo" mi stupisco molto che un giornalista italiano chieda proprio a me di darne una, visto che l'avete inventato voi [ridiamo]. Come sempre posso dire che cosa significhi per me questo termine.Secondo me il fascista è chiunque creda di essere detentore della verità assoluta, e quindi ritenga di avere la risposta a tutte le domande e chiunque ritenga che la realtà, gli altri uomini, il mondo, debbano esistere solo ed esclusivamente in sua funzione e al suo servizio.

Un egoista, dunque?...


No, preferirei evitare questo termine, perché è troppo psicologico, inadeguato perché non coglie esattamente il senso di quello che ritengo sia il fascismo. Piuttosto io credo che il fascista sia chiunque creda che il mondo debba essere a sua immagine e somiglianza ed esistere esclusivamente a suo beneficio e conformità. Il fascista desidera una realtà immutabile, a meno che egli non decida di mutarla sua sponte. Allora il cambiamento è ammesso. Però, siccome di solito il fascista è intellettualmente limitato e rigido, il mondo a misura del fascismo è un mondo sostanzialmente immutabile.
Come per il terrorismo, anche per la nozione di fascismo è importante riconoscere che non esiste solo un fascismo politico, ma anche un fascismo letterario e artistico, come detto sopra.

Toccando la cronaca di questi giorni, e la questione dell'integralismo, abbiamo visto che la popolazione libanese si è dimostrata solidale con Hezbollah a seguito della crisi militare e a seguito dei bombardamenti israeliani. Come definirebbe queste persone? Integralisti, fanatici? Si può chiamare terrorista chi solidarizza con la milizia Hezbollah dopo aver visto la sua casa devastata dall'artiglieria israeliana e i suoi cari massacrati sotto le macerie? È fanatismo religioso o reazione a un invasore?

No. Io non chiamerei integralista o terrorista chi reagisce all'aggressione militare. Questo è proprio il caso dei civili libanesi che si fanno proteggere dagli estremisti Hezbollah perché le loro case e la loro vita quotidiana sono state appunto violate dall'aggressione e i loro cari sono stati uccisi. Questa è autodifesa, non integralismo o terrorismo.
Tra l'altro in Libano tutti sanno che Hezbollah è una minoranza assai ridotta e politicamente isolata. La stragrande maggioranza dei Libanesi non è affatto intollerante o integralista, ma appunto è divenuta fiancheggiatrice di Hezbollah per necessità, per autodifesa, perché spera che gli integralisti la proteggano da Israele.

Dalla lingua alla cronaca alla filosofia... vorrei chiudere questa intervista citando ancora Oceano Nero: "La violenza, per qualsiasi motivo l'uomo la eserciti, lo fa uscire dalla cerchia umana." Che cosa risponde a chi le obietta che in realtà la violenza, in ogni sua forma, è uno dei tratti tipici, caratteristici, dell'essere umano? Gli animali sono violenti solo per fame o quando devono difendere i propri cuccioli. Non sono stati gli animali a inventare Auschwitz, la tortura, le deportazioni, Sabra e Chatila o Qana, i gulag, lo stupro etnico, ma gli uomini. Uccidere, come ridere, sembra essere una caratteristica genuinamente umana.

Sarei un uomo molto triste, sarei disperato se dovessi pensare che non esista una via d'uscita dalla maledizione della violenza umana. Io invece credo che l'uomo sia un essere in evoluzione e quindi che ci sia spazio per la speranza. Io vedo l'uomo come essere capace di amore e come creatura antiviolenta.
Piuttosto è la violenza a essere caratteristica dell'animalità umana, di ciò che lega l'uomo alle creature meno evolute. Non a caso Aristotele definì l'uomo "animale parlante", quindi anche animale. Proprio perché è un animale in evoluzione io sono certo - e spero - che l'uomo riuscirà a liberarsi dalla prigione della violenza. Un giorno, che spero non lontano, sarà capace di superare sé stesso e la sua animalità.
Anche e soprattutto perché io credo che l'uomo sia al sommo della creazione - intesa non in senso religioso, ma naturalistico - e quindi abbia le capacità per superare la barbarie. Per finire, aggiungo che non è tanto questa selvatichezza di fondo il pericolo attuale, ma la violenza dell'asservimento dell'uomo alla macchina. Ma questo è un altro discorso, lungo, difficile, e non abbiamo il tempo di affrontarlo.

Festival della mente di Sarzana