Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011
Fior di cactus
Cambiali e minotauri,
saturnali e minestroni,
angurie e folgorazioni.
Soldi e versi.
Tristi accoppiamenti.
E intanto
arrivano bollette
e il poeta soffre.
La vita intera
sull’orlo dello sfratto.
Gli spazi chiusi
sempre instabili,
provvisori.
Le pareti costano.
Al poeta povero,
sgradito ai proprietari,
respinto dalle mura,
resta l’aperto.
L’addiaccio.
Sulla mia vita
all’aperto
ve ne racconto una,
gratis come sempre.
Esiste un luogo
dove non c’è televisione
e non arrivano giornali.
È una sorta di deserto.
È bello visitarlo all’alba
quando fioriscono i cactus.
Lì ho conosciuto
l’ironia vegetale.
Il cactus più brutto
è quello dal fiore più bello:
un gigantesco giglio,
profumato,
variopinto,
che si apre solo all’alba.
Si capisce.
Da quelle parti
il sole è così ardente
che il fiore
non ha scelta
e deve rimanere chiuso
per tutta la giornata.
Ma state tranquilli.
Trattenete pure
le interpretazioni.
Questa storiella
non è una metafora
della miseria del poeta.
È soltanto un ricordo.
Un richiamo forse.
Una fitta.
Una piccola cosa,
mentale
e inestimabile.