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04/04/2011

percezione Introduzione

Percezione
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Percezione 1997 88 – 86203 – 32 – 2 80 Le belle bandiere
10,00 €
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Dal tempio del consumismo allo zapping, dai nuovi dèi del supermercato ai "lacerti" dei canali televisivi. Alberto Mori torna a colpire. A provocare. A donare emozioni. Lo fa allargando gli orizzonti, dilatando i confini della "percezione". Lo fa con immagini shock che rivelano un'umanità lacerata, dissociata, capovolta. Lo fa da attento "testimone" del nostro tempo, un testimone che ha il coraggio di guardare "oltre", di aprire dei varchi alla ricerca di un'umanità perduta.
Siamo lontani dalle origini: dalla ricerca esistenziale, dal viaggio dentro se stesso nel tentativo di definire il suo "io", dalla fuga dal mondo delle "apparenze", delle mode, della politica, dello spettacolo alla riscoperta della sua ricchezza interiore. Siamo lontani dalla folgorazione di Rimbaud, l'artista maledetto che ha stregato generazioni di poeti. Lontani dall'autoreferenzialità. Alberto Mori è ormai da tempo alla ricerca dell'uomo d'oggi, dei suoi "luoghi". Un lungo percorso approdato ai nuovi santuari in cui tutto è mercificato - anche il linguaggio -, in cui si consuma "tutta la vita", in cui l'uomo si trasforma in "sepolcro imbiancato", in cui gli "idoli" - che non vedono, non parlano... - sono destinati a rendere i consumatori simili a sé ("Iperpoesie", 1997) e che oggi si materializza in "Percezione". Una raccolta provocatoria dalle immagini "forti", dagli audaci accostamenti tra reale e irreale, dalle inquadrature fulminee. Una raccolta che getta luce sui "lacerti", sui "frammenti" in cui si è ridotto l'uomo contemporaneo, sul gioco di rimozione con cui il margine è stato spostato al centro, il secondario al primario. Una raccolta che culmina nella poesia sperimentale costruita con lo zapping: un montaggio di frammenti catturati dai più diversi canali televisivi (anche stranieri). Una raccolta che è una testimonianza.
Nessun urlo. Nessun ribellismo di maniera. Nessun gesto plateale di denuncia. La denuncia presuppone delle certezze. Ma Alberto Mori non ha certezze da vendere. Non ha "rivelazioni" di sorta. È solo "testimone": il testimone di una umanità che sta smarrendo se stessa.
Possiamo parlare di un testimone della "verità"? Non è il caso di tirar fuori termini troppo impegnativi. Il poeta - è vero - ha avuto questo riconoscimento da intellettuali di grande livello. Vi è chi, addirittura, è arrivato a considerare l'arte come l'unico canale di accesso all'Intero, alla Verità - cioè - che coincide con la Totalità. Si tratta di cliché che hanno fatto il loro tempo. Viviamo in un'epoca in cui sono letteralmente crollati tutti gli "assoluti", tutti i punti di riferimento. Il poeta non ha verità come non le ha lo scienziato che ha preso consapevolezza della fragilità della sua ricerca. Come non l'ha il filosofo che, pure, in non poche stagioni culturali si è ritenuto il possessore della verità. Se vogliamo rubare una fortunata espressione di un guru di fine secolo, possiamo dire che "Dio è morto". È morto per tutti. Anche per i poeti. Il poeta non ha alcuna "ispirazione", né divina né soprannaturale. Non ha canali privilegiati che lo distinguano dal resto dei mortali. È un mortale che vive tra i mortali. Qual è, allora, il valore della sua testimonianza? Il valore di un'opinione tra le tante? Il mondo degli umani è certamente costituito da "opinioni" (il sapere - il sapere in senso pieno - non appartiene all'uomo). Ma questo non significa che le opinioni abbiano lo stesso valore, che siano indistinguibili come nella hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere: vi è il punto di vista di chi è tuffato nel quotidiano, vi è quello dello scienziato e vi è quello del filosofo... I più, assorbiti da mille occupazioni, non hanno tempo o non hanno voglia di riflettere o, addirittura, temono il terremoto esistenziale che potrebbe scaturire dallo stesso pensare. Del resto, nella convulsa vita di oggi, vi è ben poco che possa stimolare la riflessione: gli uomini sono letteralmente regolati da una pioggia di messaggi pubblicitari. Siamo di fronte ad una sorta di nuova religione, a nuovi "dèi" creati dal Potere economico. Una nuova religione che - come ogni altra religione - dà un senso "forte" alla vita, al mondo, ma che - a differenza delle altre - non provoca angosce, non minaccia castighi ultraterreni: promette il paradiso a tutti, un paradiso in qualche misura "platonico" incarnato dalle "immagini" artefatte dei mass-media. E il Potere non ha nulla di personale: non è un "grande fratello", non è un "grande vecchio" che decide le sorti degli uomini. È un "sistema" (che risponde, naturalmente, a corposi interessi): il sistema fondato sulla libera concorrenza che oggi sta conquistando l'intero Pianeta grazie alla sua "razionalità", ai suoi effetti benefici determinati dalla provvidenziale "mano invisibile". Un sistema che oggi sta omologando tutti con i suoi "feticci", con i suoi sempre nuovi status symbol, con i crescenti bisogni artificiali che induce.
Vi è, tuttavia, chi si ribella: chi ha tanta innocenza da dire "il re è nudo", chi non se la sente di vendere la sua "anima" al demonio, chi si rifiuta di inginocchiarsi ai nuovi dèi e perdere la propria ricchezza interiore. Tra questi i "poeti". Costoro, anzi, sono in qualche misura avvantaggiati rispetto a tanti altri: grazie al loro viaggio interiore, alla dimestichezza che hanno con le emozioni, alla "sensibilità" che hanno affinato, alle "antenne" che hanno sviluppato, avvertono - forse prima di altri - la pericolosità del sistema, l'inferno dietro l'Eden promesso, la rapina dell'uomo dietro la grande abbuffata offerta. E Alberto Mori è sicuramente tra questi: un poeta che da tempo svolge il ruolo socratico di "tafano", del pungolatore, del provocatore. Lo fa con immagini-lampo.
Lampi che trafiggono: "Un totogol come un'avventura medievale/del Santo Graal/fino ad un'unione mistica/in una ricevitoria incantata"; "La risposta personificata comincia a camminare/Un profeta che scende la montagna al tramonto/ed entra nell'identità con il mondo/certo che quest'ultimo l'ha abbandonato." "Il mendicante nero./Il pesco fiorito./le foglie ormate/dal calpestio sull'asfalto."; "Lo spot sarà griffato dalla luce,/poi patinerà il gioiello elegante./Ci allontaneremo con bellezza e coscienza/in sicuri abitacoli asonori/scansando gli extracomunitari ai semafori."; "Un biberon Kossovaro./Un errore di ventun morti/sulla vetrina degli abbonati."; "Noi siamo tarpati con le mani in tasca,/angeli ubriachi guardiamo dalla finestra/fatti sapori biondi nel Veuve Cliquot."; "Cuociono il cibo all'aperto davanti al furgone./Le automobili sono incidentate e hanno targhe misteriose./Le bambine hanno monete nelle mani sporche e/implorano con nenie insistenti agli incroci."; "È vecchia, con un cappotto rosso./Non sa contare il denaro./Non sa cosa sia la differenza/ o l'indifferenza. /Lei stessa o gli altri,/ ma lo spazio per chi lo vede/ è soltanto di sua esclusiva interpretazione./Un luogo che comincia e finisce/ in un buco della mente".
Immagini di straordinaria efficacia: "Il paracadute terrestre appeso ad una stella"; "I pugni che stringono le code dei pesci/fermi in stasi parallela/fra la costellazione e l'universo"; "Le due lampade abbracciate ad un semaforo cieco"; "Nel cosmo si allarga/la camicia Hawaiana dell'obeso./Lo scoiattolo si spancia dalle risate."
Immagini surreali: "Un treno con la rotaia in bocca entra/nella lontananza"; "La pedalata di un cavallo in sella al proprio sogno"; "L'ala dell'aereo decapita/il monumento luminoso/di una chitarra elettrica."; "sono una formica digitale./Sto trascinando un chicco di riso analogico".
Si tratta solo di qualche assaggio catturato qua e là.
"Percezione" è una raccolta straordinariamente ricca. Ricca anche di colpi di scena, di immagini del tutto imprevedibili. Una raccolta capace pure di regalare - a chi si pone in ascolto - emozioni intensissime.

Piero Carelli