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04/04/2011

paesaggi-di-carta Estratto

Paesaggi di carta La prima ampia antologia italiana di una protagonista della poesia spagnola contemporanea. L'opera di Francisca Aguirre è stata attraversata dall’evento della Guerra Civile spagnola, dai temi dell’infanzia, da un frequente ricorso alla mitologia classica e da una insistente e ostinata preservazione della memoria come strumento di salvezza di fronte all’ingiustizia dell’oblio ideologico ed esistenziale.
paca
Paesaggi di carta 2013 88-86203-62-4 224 Poesia come pane Raffaella Marzano, Guadalupe Grande Raffaella Marzano, Guadalupe Grande
15,00 €
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Itaca

E chi una volta non è stato ad Itaca?
Chi non conosce il suo paesaggio aspro,
l’anello di mare che la contiene,
l’austera intimità che ci impone
il cantare silenzioso che ci delinea?
Itaca ci riassume come un libro,
ci accompagna a noi stessi,
ci rivela il suono dell’attesa.
Perché l’attesa ha un suono:
conserva l’eco di voci andate via.
Itaca ci denuncia il battito della vita,
ci rende complici della distanza,
cieche vedette di un percorso
che si va facendo senza noi,
che non possiamo dimenticare perché
non esiste oblio per l’ignoranza.
È doloroso svegliarsi un giorno
e contemplare il mare che ci abbraccia,
che ci unge di sale e ci battezza come nuovi figli.
Ricordiamo i giorni del vino condiviso,
le parole, non l’eco;
le mani, non il gesto diluito.
Vedo il mare che mi circonda,
il vago azzurro per cui ti sei perduto,
osservo l’orizzonte con spossata avidità,
lascio che gli occhi per un momento
compiano il loro bel mestiere;
poi, volgo le spalle
e dirigo i miei passi verso Itaca.

* * *

Paesaggi di carta

Alle mie sorelle Susy e Margara

Quell’infanzia fu piuttosto triste.
Essere bambini nel quarantadue sembrava impossibile.
La nostra infanzia era un misto di comprensione e noia.
Eravamo seri e annoiati.
Ricordo quelle sere; erano come il mondo era allora:
senza spiragli e tristi.
Vedo i miei pochi anni osservare con impegno,
dietro il cristallo opaco, la strada lunga e grigia;
il sole era lontano ed era l’unica cosa a buon mercato,
l’unica cosa che portava allegria senza chiederci nulla.
Mi vedo bambina, adulta e coerente
con un programma ben tracciato:
crescere, crescere molto presto, darsi fretta
– essere bimbo era un compito troppo pesante
per noialtri e per i grandi –.
Solo in estate il mondo sembrava accessibile,
per tre o quattro mesi saltare, correre, era la vita.
Il grigio tornava sempre troppo presto.
Un giorno ci risvegliammo lente, cresciute,
piene di paura, di presente.
Cercavamo parole nel dizionario
con l’ansia di capire tutto:
ci serviva costruire un linguaggio.
Qualcuno ci guardava con stupore,
dicevano che eravamo intelligenti.
Noi, nelle dolenti domeniche
disegnavamo paesaggi incerti.
Per molto tempo queste furono tutte le mie escursioni.
Andar fuori in un campo che non fosse dipinto
significava consumare le scarpe.
Uscire, uscire, quello era il sogno,
abolire le trecce, inaugurare la linea delle labbra:
il mio regno per un lavoro!
Come rendere omaggio ora a quei giorni?
Come rimpiangerli senza sfiducia?
Si sgualcirono, come i paesaggi di carta,
mentre crescevamo a questo sconforto che oggi ci popola.

* * *

Piove anche dentro, Rosalia?

Ci sono tempi in cui piove sempre. Tu lo sai meglio di chiunque altro. Che strano deve essere andare per la vita senza che l’acqua ti scenda fino alle ossa. Piove disperatamente nelle tue poesie, come piovve sulla tua vita. Piove anche dentro, Rosalia, come diceva Verlaine, nella sua Francia? Esperta in acquazzoni e saudades, voglio pensarti lontano dalla pioggia, da quella pioggerella ostinata e persistente che ti annegò i versi e la vita, voglio pensarti al sole come il grano, vicina alla montagna o al deserto, guardare un mare di sabbia trasparente, reclinando la fronte nelle palme mentre le acque calde del Nilo ti accarezzano i piedi senza sussulto. Mi sorridi, timida, ti piace questo sogno impossibile che ti offro? Mi dici ora, piccola mia, che continua a diluviare nel tuo sangue? Non dirmi, per Dio, che non c’è modo, non dirmi che piove, che non smette. Non sai quello che dici, non sei informata, è già da molto che non piove, che non è tornato a piovere, mia cara. Pensa che è da tempo, che persino il chiodo, quel terribile chiodo, si è arrugginito.

* * *

La mia lettera che è felice, perché va a cercarvi

Tanto tempo in guerra,
e tantissimo tempo aspettando notizie,
aspettando questa lettera,
che ci confermerà
nel sacro nome dell’amore:
questa lettera che ci parla di amore.
Questa lettera che non arriva mai.
Dura e dura la guerra
e questa lettera non arriva.
E, tuttavia, a forza di aspettarla
ci diventa vera.
E non arriverà mai,
ma il cielo resiste,
il mare trionfa furiosamente,
l’acqua sventola la sua bandiera.
E la lettera rimase nella sua traiettoria,
in quell’itinerario verso noi.
Lei rimase e noi continuammo.
Vedemmo crescere l’erba
e quel giorno ci dimenticammo del postino,
dimenticammo che eravamo tristi
e ci trovammo a comprovare il mondo.
Perché la lettera non arrivò
ma in cambio arrivò la vita,
chi l’avrebbe mai detto
dopo tanto tempo in guerra!

* * *

Da qualche parte di questo corpo

Si lamentano le ferite
in qualche parte di questo corpo
e mi reclamano e mi chiedono conto.
Si lamentano di una vita che non amano:
così come si lamentano i credenti
si lamentano assillanti le ferite
come se io fossi il loro dio
il loro dio onnipotente e misterioso.
Ma né la divinità né io possiamo farci niente.
È già da tanto tempo che le rovine
la disgrazia e la malinconica tristezza
hanno invaso il territorio della carne
e da qualche parte in questo corpo
gridano le coltellate gridano le bruciature.
Di fronte a tanto lamento senza un destino
sento crescermi dentro
qualcosa che somiglia alla pietà.