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04/04/2011

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Jorge Enrique Adoum – L’amore disinterrato e altre poesie
04/05/2007 Giancarlo Cavallo Casa della poesia

Ci troviamo di fronte ad un libro di enorme meravigliosa densità e pertanto degno di analisi ben più approfondite di quanto sia possibile in questa occasione e di quanto lo consentano i modesti mezzi dell’autore di questa recensione. Al solo scorrere l’indice ci si accorge che il volume contiene poesie tratte da ben sei raccolte diverse che abbracciano un arco di tempo che va dal 1968 al 2002. Questo ci consentirebbe di fare molte considerazioni su permanenze e variazioni stilistiche avvenute nei quasi trentacinque anni presi in considerazione. Ma, per quanto detto in apertura, mi sembra più utile fermare la mia attenzione sul poema eponimo, posto non a caso in apertura del volume: “L’amore disinterrato”, pubblicato nel 1993 con altri straordinari intensissimi poemi (“Dopo la polvere, Manuela” che ci parla dell’amante del Libertador Simon Bolivar; lo struggente “Cartoline dal Tropico con donne”; il raffinato“Sull’inutilità della semiologia”). Ben quattro citazioni, poste in esergo al poema preso in considerazione, ci danno alcune chiavi di lettura: le ultime due (la prima di Eduardo Galeano, la seconda tratta dai giornali dell’epoca) ci mostrano il senso e l’importanza della scoperta archeologica che costituisce la scintilla del poema, ossia il ritrovamento, all’interno di un cimitero paleoindio risalente a circa 8000 anni avanti Cristo, in Ecuador (patria dell’autore), dei cosiddetti “amanti di Sumpa”, due scheletri uniti in atteggiamento amoroso. Le altre due citazioni (di Andrew Marvell e Peter Levi) aprono un immenso spiraglio verso le dimensioni dell’amore e dell’anima, così che non per caso le ritroveremo rielaborate dall’autore nel corso del poema. Stabilite queste coordinate il poema si sviluppa in lunghi versi liberi raggruppati in sezioni (13 se non sbaglio). L’apertura con puntini sospensivi sembra volerci collocare nel mezzo di una riflessione in corso fatta da un io continuo dal Paleolitico ai nostri giorni che immediatamente evidenzia il contrasto tra l’amore fossilizzato che è sopravvissuto al tempo e l’amore morto di “noi, voyeurs del XX secolo”. Questo io, che si sposta mobile nel tempo e nello spazio proponendo temi cari e ricorrenti nella vasta produzione dell’autore, edifica, con la sicurezza che proviene dalla profonda conoscenza e consapevolezza del mezzo espressivo, un monumento all’amore e alla tenerezza, che l’autore ritiene rivoluzionarie (“o era già sovversiva la tenerezza?” pag. 19), in opposizione alla sciatteria e alla pornografia del presente. Ma non si tratta, si badi bene, di moralismo o di spiritualismo, che sono lontani dalla sensibilità dell’autore; al contrario è nella fisicità dell’amore, in tutta la sua gamma dalla carezza alla deflorazione, nella “perennità del corpo” (pag. 17), che si esprime la forza di un sentimento potente che abbiamo disimparato col tempo. Dicevo delle citazioni rielaborate: ecco a pagina 23 la prima di Marvell (Ti avrei amato dieci anni prima del diluvio) divenire “oggi è come se l’avessi amata dieci anni prima del diluvio” in un passaggio importante in cui l’enigmatica donna paleoindia e l’io, che si accorge di essere destinato a morire vecchio perché amò ma non fu amato dagli dei, rendono “quotidiano l’impossibile”. E ancora, attraverso riflessioni sulla lingua e sulle parole, considerazioni sulla coppia, rimpianti (“che voglia di cominciare daccapo, di tornare all’iniziale tenerezza, dicendoci che forse da qui a diecimila anni saremo forse di nuovo innocenti” pag. 33) si arriva alla seconda citazione, di Peter Levi (Per parlare dell’anima mi sveglio di buon’ora. Non è facile dormire in estate.) che diventa “Per parlare della morte mi alzo presto” (pag. 35) e poi ancora, continuando nella riflessione, “Mi alzo presto per domandare” (idem) che conduce ad un’esortazione fondamentale all’interno del poema: “che non venga qui chi mai poté annodarsi internamente con un altro”. Riuscire a tenere insieme un lirismo acceso e immaginifico con una analisi socio-antropologica e con inserti tratti da giornali o da studi descrittivi della scoperta costituisce il piccolo miracolo che Adoum compie, facendo reagire l’alto dell’amore-tenerezza con il basso della spazzatura-pornografia, la coppia e la tribù, il passato remoto e il presente quotidiano, la morte e la vita paradossalmente rovesciati sicché i defunti (parola con cui si conclude significativamente il poema) siamo noi “cittadini, contribuenti, pornografici, pragmatici, scettici.” e vivo è invece questo “santuario e preghiera del desiderio” dove i due amanti “continuano a morire fino ad amarsi davvero per sempre” (pag. 33). Detto questo, mi si consenta di segnalare, all’interno del volume, anche il poema “Che, fugacità della sua morte”, scritto in occasione dei trent’anni dalla morte di Ernesto Che Guevara, che manifesta una grande partecipazione umana e politica, raggiungendo l’acme dell’intensità emotiva non disgiunta da una grande lucidità di pensiero e dall’innegabile arte poetica di questo scrittore, la cui vita e la cui produzione meriterebbero l’attenzione dei lettori italiani, così come è avvenuto nei purtroppo non frequenti incontri e readings tenuti nel nostro paese. Infine, mi sembra doveroso ribadirlo, sfugge in queste brevi note non solo la complessita della materia, che appena balugina dal breve elenco di titoli sopra riportato, ma anche quella raffinata ricerca della lingua poetica che qui possiamo esemplificare con qualcuno dei frequenti neologismi presenti nel libro (e che cito in traduzione per facilitare la comprensione del lettore non hispanohablante): Elettrocardiomatematica, Supersottosviluppo, neomorto, precadavere, prenostalgia, ancoraunavoltapiù, invaginarsi, morirsi, controcuore, controblio, pinochettate, multicimitero, funebreria, maltravagliato, autentunica, sopramorire (e mi fermo per sfinimento immaginando le peripezie della traduttrice!). Ma questo, vi prego di credermi, è solo il sintomo più superficiale ed evidente della creazione di una lingua che riesce a coniugare una cultura vastissima con l’esigenza di novità e di originalità che sono caratteri essenziali nella poesia di Jorge Enrique Adoum.

Giancarlo Cavallo