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04/04/2011
Il sangue intorno al cuore
Bagriella Galzio punto a capo

Difficile sottrarsi all’opportunità che la poesia di Sarah Menefee offre, di una riflessione emozionalmente intensa sul rapporto spesso mancante tra poesia (arte/letteratura) e politica; una riflessione che immediatamente rimanda alla necessità prima di riconoscere la dimensione politica dei problemi, soprattutto in un momento cunfusivo come l’attuale, in cui molto facilmente si scambio per nuovo lo stantio, e si bollano come vetero nodi fondamentali rimasti irrisolti . Io credo che oggi sia più che mai attuale e necessario mettere a fuoco la consapevolezza dell’esere calati personalmente in “microcosmi di oppressione su cui poggia il grande impero” – come giustamente ha osservato Bruno Gullì nella sua nota introduttiva al libro di Sarah Menefee. Non è tanto e soltanto l’essere/scrivere dalla parte degli homeless, degli immigrati, dei diseredati di diverso segno e natura che costituisce il punto cruciale della coscienza politica contemporanea, quanto piuttosto il movimento ravvicinato, lo zoom operato dalla coscienza sui “non-luoghi formali del vivere politico e sociale”, laddove il proprio lavoro rivoluzionario viene esperito nella tensione serrata del confronto continuo fra teoria e prassi, nella logica/emozione delle piccole misure, nella non appariscente resistenza di drenare giorno dopo giorno dentro di sé porzioni di terra che convergono a plasmare un altro paesaggio; è allora la trasformazione di sé e dell’altro, che diviene momento centrale e moto di propagazione di una nuova credibilità politica. Diversi sono i tempi, più profondi e costosi i mutamenti con i quali a questo punto ci si trova impegnati in prima persona. Quando la trasformazione politica passa attraverso il proprio corpo – etico, energ-etico – non è più tempo di ideologie:“la luce della riflessione è ciò che desidero la luce del corpo soltanto dal viso i cui tratti sono bave d’argento”, della politica rimane così la percezione viva, la luce:”il calore corporeo della terra”, una indefinita emanazione di energia, a fronte della quale forse non vi è neanche più un’altra sponda da raggiungere, né metà del guado da attraversare. La poesia costella così un divenire magmatico, talvolta in forma profetica, tal altra nel sound di una dolorosa partecipazione, ma nasce dalla stessa energia vitale trasformatrice. È “il sangue intorno al cuore”, segno di una poesia dolorante, attraversata da una profonda compassione, uno straripamento del cuore, un debordare “da una fossa profonda quei momenti di verità pianto e rabbia furiosi e tristi”, che caratterizza la scrittura di Sarah Menefee, accanto alla poesia gridata che si arringa, lotta politica, aggressività dichiarata di Jack Hirschman. Song and voice and race… contro il ritmo sincopato di quest’ultimo, il verso lungo, narrativo, il respiro serrato e presonoro dei dialoghi di Sarah Menefee tracciano lungamente storics – “When I was crazy…”, “There will be a time…” – che dal tempo dell’esperienza a quello dell’utopia, segnano i margini sberciati di una poesia di strada. Perché è nella strada che albergano gli homeless, che si raccattano “gli spiccioli in una lattina vuota”, che s’illumina l’utopia dei frammenti, che i passi si raccolgono in una politica faticosa – day by day –, perché “giù per la strada il vento contro la sua magra schiena” è puro “odore che negli anni amorosi è / divenuto / ampia abitazione”. Quanto di più politico, mettere in discussione lo stesso senso del reale. Che cosa sia più reale, in fondo, viene da chiedersi, se la nostra collusione rispetto al quotidiano esanime e anestetizzante copione, o “le voci lunatiche che ci parlano chiedendo come in questo stato demente e spezzato si possa essere reali”. E che cosa non sia più folle, se l’essere spezzati dal bisogno e la dilagante povertà, o l’essere saturati da un materiale e sordo benessere: “è questa la libertà che dicono che il mondo brami? due valanghe di parole che vendono asciugacapelli ultimo grido a prezzi di liquidazione a un impiegato intontito”. L’intuizione della radicalità dei termini dell’esistenza, deprivato-saturo, così come di una inscindibile unità fra corpo e psiche, “gioia e fame confuse”, genera la domanda “…se sia il denaro a far sì che anche chi ne ha un po’ cammini con una malnutrita distorsione del passo attaccandosi alle pesanti borse della spesa”. Poi accade che ci sorprenda, lo scoppia dell’anima e il sangue intorno al cuore: “Per un anno ho pianto dentro, facendo di tutto per non fare uscire il panico. Per cosa? Per la porta del cuore che inizia ad aprirsi a trentacinque anni, nel dolore, attraversata da una brezza, e una corda di sentimenti che si estende al cuore di un altro, e fuori negli spazi tra le stelle”. Nella poesia di Sarah Menefee la rivoluzione s’incarna, diventa sangue, onda tellurica, reptillian manface, sguardo di feroce intelligenza: “dal nero dell’oblio un battito alla porta apro a un essere che so è Rivoluzione che sta lì a guardare con rossi occhi di serpe in un viso che ha scaglie rosse di rettile con tale feroce intelligenza che mi attraversa e oltrepassa”. È stato scritto delle sue poesie che sono politiche nel senso più profondo; che offrono attenzione, emozione e sostegno alla vita stessa. E ripenso allora con desiderio al calore corporeo della terra, a quell’utopia(profezia diffusa che afferra uomini e donne in un corpo vivo e li solleva oltre la volontà spezzata, oltre il ricatto, la fame, il bisogno, invertendo, la direzione del senso, del tempo – e fa dire “there will be a time” “verrà il giorno che il mondo non ci mutilerà più non voglio dire loro che dopo averci svuotato le tasche ci buttano a terra e ci prendono a calci in testa ecco perché tanti di noi sono storpi tu su una gruccia d’alluminio e un bastone trovato da un luogo desolato cammini nella fame e il bisogno la pena e la privazione che ti deformano gli arti se tutti gli uomini fossero uno solo saresti tu che trascinando te stesso ci tiri tutti in avanti”. Gabrilla Galzio