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04/04/2011

Al Moro di Venezia Poesie

Al Moro di Venezia
Salpai dagli Schiavoni per annullare il tempo.
Lo vidi, svanire, ad Acri, dove il confine dileguava,
ne udii lo smembramento nei brevi viaggi per mare,
scosse violente a poppa, rumori nella stiva,
e vele che il vento lacerava a brandelli.
Poi fu un lungo cammino, a piedi, a cavallo, in un paesaggio
cangiante nelle forme e nei colori,
ma immobile ormai nell’oltretempo.
L’Oriente dei lapislazzuli e dell’alabastro,
dei maghi idolatri che adoravano il fuoco,
del Vecchio della Montagna che scompariva nelle brume
col suo reame e le sue vittime, a ogni tramonto.
Non ho avuto bisogno di fumare l’oppio,
vivevo tra l’incanto e il miraggio,
tra il vero inafferrabile e il gioco artefatto
da maghi ignoti e forse inesistenti.
Lui, Khublai Khan comprese il mio sgomento,
il desiderio e l’angoscia del viaggio,
la sete e l’orrore dell’orizzonte.
Moro, che da quella torre sancisci il tempo,
nell’orologio costruito dopo la mia morte,
Moro, tu che batti il nero dei secondi e dei secoli,
dimmi se fu illusione la mia fuga dal nostro mondo di numeri
visibili nell’aria come piramidi o cerchi
o se sei tu il folle che cerca di scandirlo.
Dimmi se Marco Polo si allontanò da Venezia
per il commercio infinito e lo scambio incessante
o se tu che martelli il passare degli attimi
conosci un tempo che oscuramente mi mosse,
dove l’istante e l’infinito coincidono.
da: "La stoffa dell’ombra e delle cose", Mondadori, 2007