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04/04/2011

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Sarah Menefee
(...) il lettore è in grado di accostarsi, io credo, ai microcosmi di oppressione, violenza e miseria su cui poggia il grande impero.
La parola di Sarah Menefee nasce dai non-luoghi formali del vivere politico e sociale. Anzi, del vivere in quanto tale, cioè della vita di tutti i giorni. È questa, la cinica rappresentazione del nostro (cioè, non unicamente americano) vivere distopico, l’essenza della poesia di Sarah Menefee, dove si traduce il suo assiduo lavoro rivoluzionario.
Bruno Gullì


Sempre più in questi ultimi anni la poesia di Sarah Menefee è andata verso un’essenzialità e una condensazione che attingono ad una dimensione di assoluta pregnanza e profondità.
questa tendenza si è accentuata, e si è fatta strumento di una penetrazione acuta e straziante nei punti più nevralgici del tessuto umano, sociale e psichico.
Il suo verso risale e trae voce dall’umanità ridotta a contar meno della spazzatura a causa della povertà e dell’emarginazione sociale e ne esprime l’abbandono e il dolore; è un verso ridotto a scheggia da una grande rabbia che ha fatto esplodere la poesia in atroci frammenti.
Questa scheggia tremenda è il gergo della strada con le sue crudezze e le sue fioriture fuso con una componente visionaria (the visionary inpouring) che a momenti evoca tratti di un’apocalissi o di una catastrofe, o emerge da una nebbia che è già oscurità, sintomo e sfondo dell’assenza e della solitudine. Qualcosa viene detta dal buio, qualcuno si allontana nella nebbia che si fa buio. Tale assenza di luce evoca il suo opposto: se tutto si crepa e si spacca vengono fuori fuoco e luce ? Se c’è un brandello di gioia nel cuore può mai essere estinto ?
Lampi nel buio in forma di domanda, tra particolari di gesti e situazioni colti con penetrazione dolorosa: una faccia screpolata, le caviglie annerite, i piedi distrutti da una camminare interminabile, a death-march, perché altro non rimane agli homeless visto che le leggi dei poveri (the poor laws, così chiamate come quelle ottocentesche) proibiscono il “crimine” di sostare in un luogo, marciapiede, angolo di strada o parco pensando ai fatti propri più del necessario, trattenersi nei locali, campeggiare, vivere in un veicolo, mendicare, vendere qualcosa senza permesso.
(...)
La realtà specifica a cui Sara Menefee si riferisce è quella di Berkeley e San Francisco (città tra l’altro tradizionalmente liberal), dove il testo di legge del Matrix Program bolla i senza tetto come i responsabili della spirale di declino sociale e prevede multe salate e poi il carcere per chi chiede soldi per la strada; ma leggi del genere si sono già ampiamente diffuse in varie città americane. Questa è cronaca di cui si possono trovare esempi analoghi in vari altri paesi industrializzati, e che comunque sottolinea un problema di rilevanza mondiale: povertà dilagante e disperazione crescente di grandi masse umane di contro a una piccola fetta di società opulenta.
I versi di Sarah Menefee sono un’ascesa poetica e spirituale, un trasumanare il cui corrispettivo pratico è un organizzare, secondo le sue scelte d’impegno sociale e politico (Pasolini osserva che i popoli che, secondo noi, agiscono solo al livello pragmatico, pratico, sono i più profondamente spirituali).
Mariella Setzu
Sarah Menefee è nata a Chicago nel 1946, e scrive poesie da più di trent'anni pubblicando su giornali e riviste come Acts, Compages, Channel, Baltimore Sun, People's Tribune Volition, Left Curve, Real Fiction, Exit Zero, Gas, Working Classics, Worm in the Rain, Deluge, Beatitude, Conjunctions. Membro del National Organizing Committee, corrispondente del "People's Tribune", è profondamente impegnata nel lavoro a favore degli homeless con gruppi e organizzazioni come la "San Francisco Union of...
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