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L'esule americano Paul Polansky. Un gadjo amico dei Rom
29/07/2009 Pina Piccolo Liberazione

Scrittore, poeta, attivista e autore di una monumentale opera di storia orale sul popolo dell'est Personaggio scomodo lo è davvero. Poeta, scrittore, storico, venticinque libri alle spalle di cui quindici di poesia, Paul Polansky è anche un attivista per i diritti umani dei Rom, uno dei pochi gadjo (così i rom chiamano gli altri popoli) che ha vissuto a lungo con loro per documentarne la storia nei paesi dell'Est. Ha fondato la ong Kosovo roma refugee foundation e dirige il settore Rom della Society for threatened people (la seconda ong tedesca per importanza). In questa ultima parte di luglio è stato ospite in Italia di eventi letterari, da Lucca a Napoli e Salerno. Statunitense di nascita, Paul Polansky ha passato oltre quarant'anni in Europa, fin dalla fine degli anni Sessanta, quando giovane studente dello stato dell'Iowa e discendente di una famiglia di immigrati cechi, si rifugiò in Spagna per "motivi di studio" e per evitare il servizio militare in Vietnam. L'interesse per i rom nasce in maniera fortuita: nel 1993, durante ricerche genealogiche sulle origini della migrazione ceca verso gli Stati Uniti, Polansky scopre che in Boemia, a Lety, il villaggio natìo del primo emigrato ceco-ebreo negli Stati Uniti dopo la rivoluzione del 1848, era esistito un campo di concentramento per rom. Costruito nel 1939, non dai tedeschi ma dal Principe ceco Karel Schwarzenberg prima ancora dello scoppio della seconda guerra mondiale, aveva lo scopo di far ripristinare, attraverso i lavori forzati, migliaia di ettari di suoi terreni che erano stati danneggiati da un incendio. Alla chiusura del campo nel 1943, i superstiti erano stati trasferiti ai campi di concentramento nazisti. Nonostante la presenza di ricchi archivi concernenti il campo (40.000 documenti), le ricerche di Polansky per identificare i sopravvissuti vengono ostacolate ed insabbiate dal governo di Vaclav Havel. Ma alla verità non rinuncia e Polansky diventa una spina nel fianco delle autorità ceche che, per liberarsi di lui nel 1999 gli procurano un "invito" dell'Onu in Kosovo, come esperto di rom perché vada lì a occuparsi di alcuni campi per rifugiati rom. Ironia della sorte, la nuova destinazione apre la strada a un secondo progetto scomodo di Polanski. Lo scrittore diventa testimone diretto della vicenda di due campi della zona di Mitrovica nei quali si registra uno dei più alti livelli di avvelenamento da piombo mai documentati nella storia della medicina. I campi - si verrà a sapere - sono costruiti su terreni tossici. Polansky accusa i responsabili dell'Onu di non fare nulla per evacuare i campi nonostante le notizie in loro possesso. Nessuno interviene, i profughi rimangono nei campi avvelenati. Risultato: 82 rom muoiono per avvelenamento da piombo trasmesso per via area. La battaglia di Polansky continua tuttora. In quei campip ci sono ancora persone, molte delle quali bisognose di cure. tra loro ci sono anche bambini già affetti da danni cerebrali irreversibili. E' di questi giorni una lettera aperta firmata dallo scrittore e indirizzata al ministro degli esteri francese Bernard Kouchner e all'allora responsabile dell'Onu che rifiutò di far trasferire i rom fuori dal Kosovo per ricevere cure mediche. Sul versante teorico l'opera più importante di Paul Polanski è il progetto appena terminato One Blood, One Flame , un lavoro durato tre anni e che ha prodotto tre grossi volumi di storia orale (oltre millecinquecento pagine) sulle popolazioni rom nei Balcani e nell'Europa dell'Est. Un'opera unica nel suo genere perché fino adesso quasi nessun studio sui rom aveva preso in considerazione le loro testimonianze dirette. Forse a causa del pregiudizio, duro a morire, secondo cui "gli zingari' non conoscerebbero la propria storia o sarebbero comunque riluttanti a rivelare i propri segreti ai gadjo. La smentita sta nell'impresa di Polansky che ha raccolto una mole ponderosa di interviste ad anziani rom testimoni di un capitolo di storia europea a cavallo della Seconda guerra mondiale. Da queste interviste emergono informazioni che smontano i principali stereotipi sugli "zingari". Quello del nomadismo, innanzitutto. La stragrande maggioranza dei rom abitava stabilmente in una casa durante l'anno e soltanto in estate si spostava per vendere nei mercati i propri prodotti (cesti, cucchiai in legno, ferri di cavallo, briglie, oggetti in rame) o per partecipare all vendemmia o alla raccolta della frutta. Altra credenza è quella relativa a un'origine unica per tutti i rom. Nulla di più sbagliato. In base agli studi linguistici e alle usanze comuni le loro origini risalirebbero invece a due filoni diversi che emigrarono da diverse regioni dell'India attorno all'XI secolo: la vallata dell'Hunza nella zona nord del Pakistan (al confine con la Cina) e Multan la capitale del Punjab (identificata come il Piccolo Egitto perché era stata sotto il dominio islamico per 3 secoli). Da questi luoghi comuni alla semplificazione che tutti i rom sono uguali e sono un'unica "razza" il passo è breve. Ma di sempificazione si tratta, per l'appunto. Esiste in realtà una grandissima diversità tra i vari raggruppamenti rom derivante dal fatto che appartenevano a diverse caste professionali in India prima della migrazione verso occidente. La forte conservazione del senso di casta avrebbe semmai ostacolato forme di associazione tra i diversi gruppi in quei passaggi storici nei quali ci sarebbe stato bisogno di resistere alle persecuzioni. Parte del materiale raccolto da Polansky riguarda le dimensioni della persecuzione nazista. Dalle storie orali sembrerebbe che il dieci per cento della popolazione rom sia finita nei lager nazisti. Dai racconti risulta che i rom erano spesso testimoni della cattura e dell'internamento degli ebrei da parte dei nazisti in quanto erano spesso dipendenti delle famiglie ebree ed erano presenti nel momento in cui questi venivano presi. Tra l'altro, molti documenti dei rom internati nei campi nella Boemia sono stati utilizzati dalla Resistenza ceca per fornire documenti falsi ai partigiani. E oggi? La maggior parte dei rom viveva nei paesi dell'Europa dell'est e nei Balcani e durante il periodo socialista o di dominio sovietico, la stragrande maggioranza lavorava in fabbrica, aveva diritto ad un'abitazione seppur modesta, a cure mediche e i figli frequentavano le scuole. In quel periodo una o due generazioni di rom si sono scolarizzate, alcuni sono diventati insegnanti, professori, medici. Oggi c'è il ritorno all'analfabetismo. Dopo la caduta del socialismo le fabbriche sono state vendute a imprenditori privati e la manodopera drasticamente ridotta. I rom sono stati i primi ad essere licenziati, non per scarso rendimento ma per il colore della pelle. I comuni hanno cominciato a far pagare l'affitto delle case in cui alloggiavano, costringendoli a vendere i pochi averi e sbattendoli fuori quando non potevano più pagare. Non a caso nelle interviste raccolte da Polansky prevale un senso di pessimismo sul futuro prossimo in un'Europa permeata da xenofobia e razzismo. Pina Piccolo