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04/04/2011

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Izet Sarajlic: Qualcuno ha suonato
01/06/2007 Angela Migliore prodotti-Testata

Ci sono libri che regalano altri libri, legando nodi stretti tra le righe di anime capaci di riconoscersi affini: De Luca recita Sarajlić e la citazione diventa dono per chi ascolta. È invito, condivisione. È una porta aperta su un mondo da scoprire e non bastano i frammenti. Il desiderio è conoscere, capire, poter spaziare tra pagine fino a pochi attimi prima, addirittura ignote e l’innesco è tanto più potente, quanto più forte si rivela l’ascendente esercitato dalla voce che suggerisce. De Luca recita Sarajlić e la citazione ha il valore di una simbolica stretta di mano, con conseguente memorizzazione di un nuovo nome per cui trovar spazio sullo scaffale della propria piccola biblioteca, fissando un approdo in più in cui traghettare pensieri superflui e parole mancanti. E non stupisce la firma Erri in calce al primissimo foglio di “Qualcuno ha suonato”, anzi è conferma che ribadisce amicizia e valore. “Poesia come pane” indica il titolo della collana, costruendo una similitudine quanto mai calzante, giacché questa raccolta è indispensabile proprio come il più umile degli alimenti. “Conciso e lirico” (da All’amico che cerca di convincermi a lasciare la poesia lirica e scrivere quella epica, pag. 51), infatti, Sarajlić sa impastare la propria poetica con la vita, raccontandoci le infinite sfaccettature di quel Novecento atroce che ha cambiato volto al vecchio continente e alla storia, nonché alla sua esistenza individuale di uomo, di amante, di fratello, di figlio, di amico, di cittadino. Lo sguardo è quello attento e coinvolto di chi sa cogliere la poesia del gesto minimo e sogna “un’arte semplice di ritorno alle piccole cose” (da Celebro, pag.102). Da qui, dunque la predilezione per temi quali l’amore e la convivialità pure in un contesto di profondo dolore. Da qui la commistione tra la dimensione pubblica e quella prettamente intimista di un artista che spesso muore nei propri versi (da Confesso, pag.171), ma sceglie di sopravvivere per amore di quanti lo amano e non si esime dai suoi giorni né dallo scrivere, perché “poeta è quello che sempre ricomincia daccapo” (da Solo adesso, pag. 53). Dentro la guerra, dentro il ventesimo secolo, dentro la sofferenza della sua gente, dentro la nuova Sarajevo divenuta il “carcere centrale d’Europa” (da Addio al Tram numero 6, pag. 158), il bosniaco fa delle sue pagine il formato di combattimento di una resistenza ostinata e malinconica, impaziente com’è di “poter tornare, per la seconda volta in vita sua, a scrivere le proprie poesie del dopoguerra” (da Addio al Tram numero 6, pag. 159). Resta sotto i bombardamenti e pianta versi nella solitudine di un paese che vive progressivamente la propria cancellazione.“Scrive, non perché sia l’unico modo per respirare, scrive perché senza poesia non riesce a immaginarsi neppure nelle vite” (da Piove. La mia poesia ottimista è andata a passeggio, pag. 57) delle persone a lui prossime. I componimenti diventano denuncia, consolazione, speranza, ma anche dimensione privilegiata d’incontro con quanti hanno smesso di suonare al campanello della sua porta, costringendolo ad accontentarsi di incrociarli sfogliandone i libri (pagg. 44 e 46). E si avverte, netta, la nostalgia di chi, pur godendo nello scrivere, non esita a ribadire che “è meglio passare una serata con gli amici anziché alla scrivania”, (da Per i miei cari Bajević, pag. 81). Nostalgia che si amplifica allorquando il poeta si sofferma sul ricordo della moglie, facendo delle proprie liriche il luogo in cui la morte si lascia vincere dall’amore. Sono queste le pagine più intense in cui Sarajlić “non sa resistere all’invasione tenerezza” (da Epitaffio, pag. 17) e manifesta la propria fragilità in quel disperato “nessuna tu” mediante il quale “si riduce la distanza tra la poesia e il grido” (da Ancora una notte, pag. 15). “Tante donne e nessuna tu. A Sarajevo duecentomila donne e nessuna tu. In Europa duecento milioni di donne e nessuna tu. Nel mondo miliardi di donne e nessuna tu”. (Nessuna tu, pag 164) Il climax cresce al pari del senso di vuoto che, tuttavia non riesce ad intaccare la forza di questo sentimento totale per cui è inammissibile qualsiasi idea di replica, perché non esiste un’altra tu e un eventuale “secondo amore sarebbe semplicemente il seguito del primo, unico amore” (da Un altro amore, pag. 25) . Versi a risarcimento di un’assenza, quindi, dove il poeta raggiunge la perfezione di uno stile essenziale e al tempo stesso denso di suggestioni tratte dalla letteratura russa in primis. Sarajlić “celebra con autunnale vecchio manierismo dell’anima i mondi che crolleranno domani” (da Celebro, pag. 103) e contemporaneamente “tradisce i suoi maestri: vive” (da Tradisco i miei maestri, pag. 43), con la vita ad irrompere nel suo scrivere. Ed è poesia capace di arrestare il presente per fissarlo nelle proprie righe, non senza rinunciare alla speranza di futuro, perché “salvo il futuro la poesia non ha nessun alleato” (pag. 30). E non manca una buona dose di amara ironia a sottolineare le mostruosità della storia, irridendo il falso progresso e ribadendo la necessità di un cambiamento radicale capace di elaborare un diverso concetto di confine, senza il quale “due conclusioni si impongono da sole: o il mondo sarà ben presto popolato esclusivamente da emigrati, o dovrà diventare l’unica patria universale degli uomini” (da Erranza dei poeti, pag. 93). È il 1983 quando mette giù questi versi, è lontana l’Unione Europea, il nome Jugoslavia ha ancora senso, ma l’erranza dei poeti spiega più di quanto non dica la cronaca, proiettando oltre l’hic et nunc. Perché la sensibilità del letterato interpreta l’oggi con occhio rivolto al domani e indugia sul proprio stesso scrivere scherzando sulla personale difficoltà di dedicarsi alla prosa (pagg. 51 e 125), al contempo ribadendo la sua vocazione naturale per la poesia. Quella stessa poesia di cui, qui, non si è voluto far critica, giacché “i critici di poesia sono come i vecchi. Anch’essi sanno tutto dell’amore. Quello che non sanno è fare l’amore" (da I critici di poesia, pag. 91). Angela Migliore