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04/04/2011

iperpoesie Recensioni

Iperpoesie
Roberto Caracci

Il procedimento preferito di Mori, dal punto di vista poetico, consiste nel mettersi dalla parte dello sconfitto contento, del rassegnato felice, ossia del consumatore che non solo è vittima del consumismo senza saperlo, ma che finisce per farne una religione, come chi non potendo più resistere ai propri carnefici li trasforma in numi, in dei. La poesia di Mori ,dunque, inizia dove la lotta dell’uomo contro l’alienazione della società dei consumi finisce. Ed è così che il supermercato diventa un tempio, che l’acquisto diventa un rito, fatto di tappe precise e meticolose, che il canto stesso del consumista diventa una liturgia, una preghiera da recitare con devozione. Non solo il soggetto non è più capace di distinguersi dall’oggetto e il consumatore non riesce a distinguere se stesso da ciò che consuma, ma addirittura si assiste ad una metamorfosi apocalittica del soggetto dinanzi all’oggetto consumato, in quanto il soggetto non è più spesso lui che guarda il prodotto, la merce, la cosa, e li osserva li esamina e li desidera, ma sonno gli stessi prodotti merce e cosa a parlare al soggetto e diventare tale. Così il consumatore diventa l’osservato, il desiderato e l’appetito, o il comprato e consumato, quando chi gli parla è “lo sgombro del bancone dei surgelati” o Il cartello rotante della coca cola. Per questo è interessante in Mori il punto di vista, che non è più quello di un individuo consumante o di un soggetto - io, ma di un soggetto diluito nell’oggetto, un io seriale, un anonimo passante dei desideri, quando non addirittura un infrauomo senza umanità, superuomo al contrario, senza identità, senza specificità, dominato da desideri universali – i desideri della specie- o addirittura come si diceva il punto di vista è quello dell’oggetto sul soggetto che a quel punto non resta più soggetto, ma è oggetto di un oggetto trasformato in oggetto, ossia la merce. La merce ha occhi e sguardo, voce e parola. Mori da la parola alle cose, trasformando da una parte il soggetto individuale a soggetto cosmico, la specie al posto del genere; poi addirittura rovesciato, laddove la vera soggettività parlante, guardante e pensante è quella delle cose, del consumato, della merce che ha lingua occhi e pensiero. Chi è il soggetto, ad esempio, che parla in this land is my Lekkerland? È qualcosa di non umano, di non individuale, è una categoria e non un uomo, una specie e non un genere, un soggetto trasfuso nell’anonima soggettività ormai neutra e oggettiva del consumatore medio. Sta qui l’abilità di Mori, nell’evitare qualunque accenno di moralismo semplicistico. In nome di una ironia graffiante e di una iperbolica antifrasi, che fanno parlare ormai L’automa nell’uomo o le cose stesse senza giudicare. È la finzione dello stare dalla parte dei propri carnefici, della merce che ha occhi E bocca. La finzione è poetica, laddove il soggetto che la vive, la vive fin troppo sul serio, senza distacco ormai o dissimulazione o disincanto. Infine, questa atmosfera di messianismo grottesco, di fine dei tempi Paradisiaca – infernale, da grande fratello, che si respira nelle poesie di Mori. Il soggetto automa che parla, o le cose per lui, raccontano di un tempo escatologico e soteriologico, in cui il mondo sarà l’eterno paradiso terrestre degli elettrodomestici E dei materassi ortopedici, degli Yogurt transgenici e delle coca cola. Roberto Caracci