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04/04/2011

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Gli Epigrammi romani di Sinan Gudzevic
18/12/2007 Rocco Taliano Grasso Casa della poesia

Non credo che nell'epigramma 34 Sinan Gudžević, nell'elencare i grandi poeti del passato alle cui fonti si è abbeverato per affinare l'arte dell'epigramma, metta per caso in testa il nome di Marziale. Marziale è senz'altro il più arguto dei poeti satirici romani, colui che nell'arte dell'epigramma dell'epoca raggiunge il massimo esito. Anche il nostro poeta ci offre una gustosa e salace carrellata della quotidianità di Roma, nella cui vita si è immerso con dedizione e passione in diversi prolungati soggiorni, realizzando quell'osmosi che sola può consentire di coglierne l'anima profonda, l'intima filigrana, di chiosarne i vizi e le virtù, ma più i primi dei secondi (Ep. 34) Come non è un caso che ad accompagnarlo, per affinità umane e ideali, sia un altro personaggio straordinario della cultura europea, Predrag Matvejević, il cantore e il più eccellente interprete della mediterraneità. Siamo veramente onorati di avere con noi una personalità così limpida, alta e stimata, a cui auguriamo di cuore di vincere il Premio Nobel, per la sua opera in favore della cultura e della pace tra i popoli del Mediterraneo. Svilupperò qui per voi due brevi linee di riflessione che, aggiunte agli aspetti biografici di prima, spero vi diano un quadro che vi avvicini al poeta Gudžević. Sinan è nato e ha vissuto fino all'adolescenza in un remoto villaggio di montagna di una provincia tra la Serbia, la Bosnia e il Montenegro. La vita veramente non gli ha regalato nulla, nel senso che tutto per lui è iniziato all'insegna della dura conquista, regalandoci però l'uomo di adesso. Pensate che mentre era ragazzo per andare a scuola, Sinan doveva percorrere dieci chilometri a piedi e altri dieci per ritornare, questo in una zona dove imperversavano le tormente di neve e i lupi! Forse nessuno avrebbe immaginato l'amore e la perizia che quel fanciullo avrebbe poi riversato nello studio della letteratura classica greca e latina. Sinan successivamente vive con profonda partecipazione, amarezza e costernazione le alterne e drammatiche vicende politiche e storiche della sua terra, dagli anni di Tito in poi; è lontano sia dal nazionalismo e dall'etnocentrismo, sia dal culto della personalità di Tito e dalle farneticazioni dell'ideologia. Scrive versi ribelli e rischiosi che mettono in guardia dalle derive a cui giunge ogni società dove l'umanità non assurge a riferimento privilegiato della politica e della letteratura. È un innovatore che, al lirismo e all'estetismo anche di comodo di fronte all'aggressività delle ideologie, contrappone una nuova sensibilità, uno sguardo attento e perfino severo sulla realtà che si manifesta esplicitamente nella sua scrittura, imperniata sul criterio della narrazione, a volte anche aneddotica. I feroci conflitti incidono sull'anima del poeta; egli leva la sua voce sulle macerie della patria, contro Milosević, contro i nazionalismi, contro la perduta armonia. Viaggia per il mondo: Belgrado, Berlino, Lucerna e Roma sono certamente le capitali della geografia della sua anima. A Berlino nascono i suoi gemelli, figli di un "matrimonio misto", gli urleranno in patria, perché appartenenti a due etnie jugoslave diverse. Qui, dopo i furori e le stragi e in un tempo in cui da diverse parti si nega l'enormità e l'orrore dell'Olocausto, corre l'obbligo di spiegare cos'è o qual è l'identità di e per Sinan Gudžević. Egli ama profondamente la sua terra, le sue memorie, le sue radici si sono ben nutrite e irrobustite nell'humus di quella terra, ma la vera identità non è "esclusiva e monolitica" (Boris Novak). Riconoscersi non vuol dire chiudersi; l'identità è "molteplice, aperta e fluida" (ancora Novak). L'umanesimo di Gudžević ricorda una metafora del poeta Brodskij. È vero che le culture come gli uomini sono simili agli alberi, vogliono radici per crescere ed espandersi. Però il grande poeta russo, per togliere la dialettica interculturale alla ideologia del sangue e della terra, scrive che l'uomo è un albero capovolto, le cui radici non sono affossate nell'oscurità della terra, ma sono rivolte in alto, abbarbicate nell'aria, nella luce, nel vento, verso i volti di tutti gli esseri umani. Capita, purtroppo, che le radici degli uomini si aggroviglino in qualcosa che non è un abbraccio, ma una lotta. Il poeta ne è ben consapevole e risolve la contesa con grande ironia, come nell'epigramma 70 (sull'umanesimo europeo). I popoli, scontrandosi, per fortuna portano pure civiltà: l'ideale sarebbe portarla senza scontrarsi, ecco il vero umanesimo. Necessità, dunque, fosse anche utopia, di una casa comune, come sosteneva Gorbaciov, amico del nostro Matvejević. Questo è il poeta, questa l'idea dell'uomo che ci comunica attraverso gli epigrammi e l'intera militanza poetica e culturale. Noi leggiamo questi epigrammi gustosi, a volte sorridenti e divertenti, arguti, dai contorni e dai colori diversi e vivaci, o elegiaci, quali quelli dedicati alle tombe più o meno illustri di Roma, che ricordano la Spoon River di Edgar Lee Masters, ma convergenti sempre verso un centro: l'uomo, l'umanità. Proprio Marziale, uno dei maestri del Nostro, scrive che "la sua pagina non conosce né Centauri, né Gòrgoni, né Arpìe, ma solo : hominem pagina nostra sapit. L'amore per la cultura classica spinge Gudžević a riappropriarsi di questo genere letterario, l'epigramma, che per sua natura è agile e spigliato, si presta a un varietà di motivi; il verso è ricco di arcaismi, neologismi, assonanze e consonanze condotte sul binario del distico elegiaco, misura metrica di cui si propone un'interessante attualizzazione, che rende magnificamente l'essenza morale classica, la sintesi efficace tra il contenuto e la forma fino alle indovinatissime chiuse finali. "Prende in prestito il tono dei grandi classici per commentare la quotidianità della Roma odierna, vista dagli occhi di un immigrato", scrive Asmir Kujović. (L'uso del distico elegiaco da parte di Gudzevic meriterebbe ben altro approfondimento, ma in sede più appropriata.) Vogliamo sottolineare la bella opera di supporto al libro in fase squisitamente editoriale di Sergio Iagulli e di Raffaella Marzano, altra leader di Casa della Poesia, e persona indubbiamente eccezionale, che ci ha regalato con Iagulli anni di grande poesia e che con Gudžević ne ha curato anche la traduzione. Come si vede, è soprattutto esigenza di restituire alla parola la sua forza espressiva ed affabulatoria, decantatrice ma anche ammaestratrice della vita. Sono convinto che gli amici Iagulli e Matvejević saranno contenti se, a questo proposito, io cito un altro leggendario poeta europeo, a loro due molto vicino, che ci ha lasciati da poco, Izet Sarajlić. (Ma i grandi poeti non muoiono mai, tanto è vero che rimangono i loro versi) . A conclusione vorrei leggervene qualcuno, dal "Libro degli addii": "La cosa più importante quando eravamo agli inizi/non era scrivere versi/quanto piuttosto tramite i versi riabilitare l'amore… Bisognava riabilitare tutte le parole dell'uomo/perché dal coltello all'erba/su ognuna di esse c'erano macchie di sangue."

 

Rocco Taliano Grasso

 

dalla presentazione critica di Rocco Taliano Grasso, IPSIA Cariati, lunedì 18 dicembre 2007, nell'ambito della rassegna dell'amministrazione comunale "NATALE DEI POPOLI"