Nuova collaborazione Casa della poesia e il Fatto Quotidiano
04/04/2011

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Etel Adnan – Crescere per essere scrittrice in Libano
Giancarlo Cavallo Casa della poesia

“C’è una relazione dialettica fra la propria vita e il proprio lavoro. Naturalmente la prima influenza il secondo, ma anche il lavoro diventa un’influenza sulla vita. è una strada a doppio senso, un processo misterioso in cui ciò che chiamiamo vita e ciò che chiamiamo creazione, si uniscono e non si uniscono, si incrociano e si nutrono l’un l’altro.” (pag. 8)

Come si può intuire dalle righe testé citate, questo piccolo libro della libanese Etel Adnan (classe 1925) potrebbe risultare prezioso per un’aspirante scrittrice/scrittore, pur nella sua esigua densità. Una pagina autobiografica che si apre con “La prima cosa che ricordo …” e si chiude con “Avevo molta strada da fare.” Tra questi due inizi, il formarsi della coscienza di un sé e il momento del distacco dalla propria famiglia e dal proprio Paese, c’è un itinerario, il crescere appunto, che è il costituirsi di una singolarità raccontata con il piglio sicuro e coinvolgente di una narratrice di razza, quale la Adnan certamente è. Lo spazio ed il tempo, fin dalla prima immagine della fontana di pietra circolare, acquistano una evidenza concreta e sembrano disporsi ad accogliere e contenere tutti gli elementi conflittuali che via via emergono: padre-madre, maschile femminile, cattolico-mussulmano, Beirut-Damasco, occidente-oriente, francese-arabo, tradizione-modernità, ecc. Ogni cosa non è mai anonima o generica: la casa descritta stanza per stanza soprattutto attraverso la variazione del grado di luminosità, la gatta a cui la stanza buia era riservata per il parto, i pochi libri che pure determinano ulteriormente la composizione mista della famiglia (“...il Corano di mio padre, il libro dei Vangeli in greco di mia madre, un dizionario turco-tedesco dei tempi del War College di mio padre ad Istanbul, e alcuni romanzi in greco su Cleopatra, i Santi del Deserto egiziani, e storie d’amore...”). In tal modo questa evidenza concreta degli oggetti conferisce alle persone che si affacciano sulla scena del racconto un carattere immediatamente definito che ce le rende presenti e quasi familiari, persino quando sono appena tratteggiati. Racconto di un’iniziazione sia intellettuale che erotico-sentimentale, incompiuta e differita (come la poesia sul mare che accompagna, nell’ultima pagina, la giovane studentessa sull’aereo per la Francia ) che diventa coscienza gioiosa e lancinante di quello che si vuole essere, del proprio divenire: Woman Writer, scrittrice (“Ho amato l’atto di scrivere fin da quando ho memoria.”), cercando una lingua che sarà nel tempo sempre mobile e diversa (francese, inglese, arabo). Anche a costo di creare una frattura insanabile con il proprio mondo. Allo stesso tempo il libro riesce a farci leggere in trasparenza la dinamica traumatica ed eccitante che gli anni a cavallo della II guerra mondiale hanno innestato nella società libanese, facendo di Beirut quel felice coacervo di identità diverse, che solo gli sciagurati avvenimenti susseguitisi dagli anni ’70 fino ad oggi avrebbero messo profondamente in crisi. Anche in questo risiede il grande vigore e l’attualità di Crescere per essere scrittrice in Libano, in questo raccontare la propria infanzia raccontando un mondo.

 

Giancarlo Cavallo